Come va coach? «Va che mi mancano due vittorie…». Il timore, per i tifosi biancorossi, è che una di queste voglia riprendersela proprio oggi, contro la”sua” Varese.
Il professionista è concentrato a puntino, ora lo sappiamo. L’uomo. invece, è come sempre in viaggio. Un viaggio alla Meo: placido, sensibile, attento alle sfumature, bagaglio infinito di emozioni. La vigilia di Brindisi-Varese diventa allora l’occasione di una chiacchierata sincera, rimirando il fiume che scorre. Con lui non c’è mai solo il gioco, anche se tutto – in fondo – è sempre partito e sempre partirà da lì.
Mi trovo bene. Brindisi è una piazza molto appassionata, è sud e io al sud mi sento a casa. E poi sono tornato nella regione che mi ha dato i natali e sto riscoprendo a poco a poco tante cose sul mio passato. Pensi che a un incontro ho trovato un medico che mi ha detto di essere stato in servizio nel campo profughi di Altamura nel periodo in cui sono venuto al mondo: «Probabilmente ti ho fatto nascere io», mi ha detto. La vita scorre serena, insomma… Non sono un tipo che ha particolari esigenze, e poi – è vero – anche qui c’è il mare.
… va scoperta, perchè è piena di piccoli tesori. Penso che i turisti, i forestieri, l’apprezzino più di chi la abita. Ci sono chiese bellissime, il castello Svevo e quello Aragonese, una storia che parla… Ci sono monumenti che se fossero in Francia ci sarebbero cartelli e indicazioni ad annunciarli ogni 10 chilometri. Noi, invece, non sappiamo esaltare quanto di bello abbiamo. Ma non è un problema solo di questa città: è un problema tutto italiano.
Il destino ci ha messo lo zampino… Dopo l’esonero di Sassari ho trovato finalmente il tempo per fare cose e vedere persone a cui ero sempre stato costretto a dire di no. Tra queste il Club Federiciano di Altamura, che ha voluto consegnarmi un premio la scorsa primavera. È in quella occasione che sono tornato in Puglia… Le opportunità nascono così.
C’è del rammarico per come andò quella partita, ma non mi piace per nulla guardare al passato. La pallacanestro è fatta di tiri come quello di Kangur: sono parte del suo bello. Una volta gioisci, un’altra no, bisogna accettarlo.
Guardo a noi e dico che mi aspettavo almeno quattro punti in più dal nostro cammino., senza essere presuntuoso. Varese? Ha avuto infortuni (vedi Campani), giocatori in condizione precaria per tanto tempo, ha fatto la coppa…Sì, la coppa: ti può esaltare, ti può – a volte – aiutare, ma alla lunga ti prosciuga ogni energia.
Quella di Caja è più aggressiva. E conta su un Dominique Johnson – che Moretti ha avuto solo all’inizio e per poche partite – che quando si accende può vincere una gara da solo. Mi fermo qui: non è mai simpatico fare troppi confronti o dare giudizi ai colleghi.
Siamo una squadra che gioca bene quando riesce ad essere mentalmente aggressiva, a prendere il ritmo, a rubare palloni e a correre in contropiede. Finora abbiamo avuto dei buoni sprazzi, ma ci è mancata la forza per fare un gradino in più. Ho giocatori di qualità, anche belli da vedere.
Ha una doppia dimensione e sa correre bene per il campo. Sì, sta facendo buone cose davvero, ma ha ancora dei margini di miglioramento. E io non mi accontento.
A me fa impazzire Maynor, quello sano… Se lui gioca bene, tutta Varese gioca bene. Ha problemi fisici, ma come giocatore non si può discutere. E, lo sappiamo tutti, se non avesse avuto quegli infortuni non giocherebbe certo a Varese o da noi in Italia.
Gli chiedevo sempre: «Allora, torni?» E lui: «No no, la mia famiglia ha già dato…». La verità è che il sentimento, davanti alle difficoltà, non può venire meno ed è per questo che è tornato. Certi amori non finiscono e non possono essere oggetto di scelte razionali.
Sette anni non si dimenticano. Per quello che è stato, per le persone incontrare, perché ho casa ad Alghero… Sì, sono contento di tornare. Alla domenica sera guardo tre risultati, sempre: quello di Varese, quello di Sassari e quello di Torino. Tre storie d’amore, non uguali fra loro, ma tutte e tre belle e importanti.