Quella di Domenichino Zamberletti, il capo dei chierichetti di Santa Maria del Monte morto in odore di santità a quattordici anni non ancora compiuti nel 1950, è una storia che commuove da tempo. Di lui coltiva un ricordo indelebile don Angelo Corno, oggi prete residente a Fogliaro, ma sino a quattro anni or sono arciprete di Santa Maria del Monte: la sua personale vicenda si intreccia in maniera significativa con quella del piccolo Domenico, che proprio oggi avrebbe compiuto 81 anni.
«Avevo sette anni, e in quel di Monza, dove abitavo, ricevetti la Prima Comunione il 30 maggio del 1950: io non potevo saperlo, ma il giorno prima spirava Domenichino. Quel giorno, nel quale io sentii la prima chiamata alla vocazione, improvvisamente mi salì la febbre: così mia madre, alla fine della funzione, mi riportò a casa e non potei andare in gita con i miei compagni neocomunicati, come allora si soleva fare, al Sacro Monte di Varese».
Passa il tempo e don Angelo calca con alimentata convinzione le orme della fede. «Negli anni immediatamente successivi alla sua morte, nella diocesi ambrosiana si era diffusa la fama di Domenichino come modello dei chierichetti: quando ero ragazzino già circolavano le sue immaginette, mentre al catechismo e in oratorio ci veniva presentato come figura esemplare». Ordinato nel ‘70, don Angelo è nominato vicerettore del seminario di Saronno, quindi del collegio di Monza, e successivamente coadiutore di Abbiategrasso,
infine parroco di Solbiate Arno, dove resta per 17 lunghi anni, dal 1983 al 2001. «Dopodiché monsignor Ferrari mi mandò al Sacro Monte: e io subito ebbi un tuffo al cuore, perché avrei ritrovato Domenichino, di cui portavo nel cuore la testimonianza di giovane vita cristiana gioiosa e di morte che abbraccia il Paradiso». Da quel momento a lui spetta di divenire il maggior segugio sulle tracce della santità del piccolo Servo di Dio. «Era una cosa stranissima: negli anni si era di parecchio affievolita la sua fama negli oratori, ma non la fede popolare: venivano regolarmente in santuario madri che mi raccontavano di grazie da lui ricevute, sia nei confronti dei loro bambini in grembo, sia di quelli già nati; e il culto della sua figura era chiaro anche dal via vai sulla sua tomba, carica di giochini, angioletti e rosari.
Arrivavano anche da molto lontano per conoscere i luoghi dove Domenichino aveva vissuto. Allora volli approfondire direttamente in Curia, e mi misi a studiare il faldone della causa di beatificazione: fotocopie di carta chimica ingiallita dal tempo producevano le testimonianze dirette di medici e infermieri che avevano seguito la malattia nel suo decorso, e raccontavano di una giovane vita che aveva saputo accettare con serenità, pazienza e sopportazione il dolore, sempre con lo sguardo rivolto alla Madonna, consolando i genitori che pregava di non piangere, perché sarebbe andato in Paradiso». Ma il processo si interrompe negli anni Settanta per volere del Cardinal Colombo. «Nonostante questo, non viene addotta una motivazione. Eppure io un’idea me la sono fatta: c’era, tra le carte, una lettera di un sacerdote della diocesi di Acireale che si era detto disponibile a pagare la causa di beatificazione purché avesse potuto portare in Sicilia qualche ricordo di Domenichino per il Villaggio del Fanciullo che aveva fondato. Il fatto è che a Santa Maria del Monte iniziarono a sparire le cose personali del bambino: la cameretta, ad esempio. Così, pur di non cedere le sue reliquie ad altri luoghi, credo che la famiglia abbia ritenuto opportuno di bloccare l’iter. Ma ora quel sacerdote è mancato e non c’è motivo perché la causa non si riapra». Difatti la devozione popolare continua e si allarga a macchia d’olio: nei giorni di Ferragosto è arrivata a don Angelo la notizia, da parte di una signora di Roma, di un gruppo di preghiera sorto proprio intorno alla figura del piccolo organista del Sacro Monte; e a lui, che componeva musica in maniera celestiale improvvisando sulle tastiere, è stato intitolato anche un coro a Macerata.