È tempo di tornare a quello che eravamo, caro Varese. Probabilmente nessuno avrebbe pensato, con il Varese all’apice della sua storia recente e ad un passo dalla serie A, che dopo tre anni saremmo tornati a calcare i campetti di provincia.
È un rischio, molto concreto, che paradossalmente inizia a far piacere più che paura. Alla gente del Varese, ormai è chiaro, non interessa minimamente di vendersi l’anima per il grande calcio. No: alla gente del Varese, quella vera, è sufficiente un campetto, uno sparuto gruppo di tifosi e dei pirati in campo disposti a dare l’anima, anche in Eccellenza o in serie D.
Non sono solo belle parole al vento, è la volontà di persone che hanno sfiorato il paradiso, ma continuano ad amare il calcio a modo loro.
Chi non ha paura, anzi non vede l’ora, di tornare ai tempi di Parabiago è Marco Prestifilippo, classe 1990 di Porto Ceresio, che ha vissuto la scalata fin dal primo giorno, sugli spalti da ragazzino e poi sul campo da fotografo.
Ecco perché, oltre dieci anni dopo, vorrebbe rivedere il Varese nel calcio dilettantistico: «Non
voglio sembrare offensivo nei confronti di nessuno, però questo Varese in questo momento non ha più senso di esistere. Piuttosto che continuare con questa gente, con tutti questi personaggi loschi che si sono succeduti, da Rosati e Montemurro in poi, io spero che si riparta da zero. Ed io non lo chiamerei fallimento, bensì salvataggio della dignità. Noi siamo altro, abbiamo fatto una brutta fine e l’unica cosa che si può fare ora è ripulirsi, azzerando tutto. Ripartiamo da capo con gente di Varese».
Vedere il Varese in queste condizioni, e soprattutto nelle mani sbagliate, gli fa stringere il cuore: «Io della dirigenza attuale non mi fido più e cerco di starne alla larga. Soprattutto mi chiedo: perché tu, dirigente del Varese, hai deciso di vendere la società a queste persone? Posso capire che ognuno ci tenga a salvare ciò che si era creato, ma si è superato il limite. La storia di Zeaiter è diventata una barzelletta: alla presentazione in Comune sono rimasto basito, ho preferito non presentarmi. Pur non essendoci stato per motivi di lavoro, appoggio in toto la contestazione della curva, in ogni punto. Sono nato e cresciuto con loro, non possiamo nasconderci nell’ipocrisia perché alla fine chi ha sempre fatto i chilometri per seguire questa squadra sono loro, e meritano di meglio».
Quindi l’ipotesi di una ripartenza dal calcio dilettantistico, ormai tutt’altro che remota, non spaventa Marco: «Sinceramente, ho sempre preferito quel calcio a quello dei professionisti. Certo, veder ripartire da zero il Varese che pochi anni fa era ad un passo dalla serie A fa male: ma ripeto, sarebbe il male minore, anche perché torneremmo ad avere dignità e rispetto dei tifosi».
«Ho solo paura che sia troppo tardi per iscriversi alla serie D, ma preferirei un anno senza calcio piuttosto che continuare con questo strazio. Non sto scherzando: ci sarebbe quantomeno tutto il tempo necessario per pensare e per costruire qualcosa come si deve».
Conditio sine qua non per ripartire è una pulizia generale, via tutti.
«Per quanto mi riguarda, non me la sento di salvare qualcuno. Partite vendute, società lasciata in mano a sconosciuti. Che siano giocatori o dirigenti, per me via tutti: non terrei nessuno. Che si riparta da gente semplice: non mi interessa la categoria, non mi è mai interessata. Torniamo solo ad essere il Varese, quel Varese che seguivo da 15enne monello sui campi più disparati della nostra provincia. E sono sicuro che i dirigenti storici, che conosco e so quanto amino il Varese che abbiamo visto crescere, troveranno posto nel Varese del futuro».