La sorte dell’Ospedale di Luino è legata a fattori che da anni si intrecciano e si annodano, formando un groviglio difficile da sbrogliare. C’è la miopia della politica, che nel 2003 rinunciò all’ospedale unico del Verbano: errore madornale di cui oggi il territorio paga il prezzo. C’è una sanità che negli anni ha cambiato pelle e meccanismi, ma che fatica a declinare sul territorio le risposte alle esigenze del presente, specie in aree periferiche come l’alto
varesotto. Dove l’ospedale è considerato ancora sinonimo di assistenza, unico riferimento di una galassia che, altrove, va invece rimodulandosi, diversificandosi e distribuendosi. E c’è, inutile negarlo, un vulnus occupazionale. Perché in un territorio ormai povero di imprese, l’ospedale rappresenta una fucina di lavoro. E qui la dialettica tra ASST Sette Laghi e comunità locale si fa particolarmente vivace. A un’Azienda che definisce poco attrattivo l’ospedale luinese, tanto da rivendicare i diversi concorsi pubblici andati deserti, sindaci e Comitato replicano puntando sulla sostanza dei contratti proposti: a tempo determinato e decisamente meno vantaggiosi della sempre preferibile Svizzera. Tutti nodi che solo una politica accorta e lungimirante può sperare di sciogliere. Ferma restando un’amara, quando evidente, considerazione di fondo: e cioè il ruolo sempre più marginale dei Comuni. Indebolite negli anni Novanta, quando la governance degli ospedali passò all’ASL, oggi le amministrazioni locali si ritrovano ancor più avvilite da un meccanismo decisionale che prescinde totalmente dalle loro richieste. Un dato sconfortante. Specie in una Regione che, per anni, ha eletto la Sussidiarietà a propria stella polare.