Aldo Ossola va subito al nocciolo della questione tecnica, il grande problema – oltre a quello dell’atteggiamento in campo, davvero dimesso, soprattutto a Cremona – che affligge la Openjobmetis delle sei sconfitte consecutive in campionato.
Sull’asse regista-centro si basano le fortune di qualunque formazione. «Ma quel Daniel mi sembra alterni cose discrete a troppi momenti di smarrimento e assenza. Mentre Robinson, che abbiamo pur visto spesso “buttarsi dentro” prendendosi le sue responsabilità, mi pare per il resto giochi poco da play,
non riuscendo a far girare la squadra come vorrebbe il Poz».
Un bel problema quindi, anzi due. Poi c’è il terzo, non meno evidente: «La difesa, fondamentale ancora più dell’attacco: invece finora mi è parsa traballante» analizza il grande ex della Ignis.
La sequenza di risultati negativi ha finito per intaccare, per usare un eufemismo, l’entusiasmo travolgente che aveva caratterizzato l’esordio-boom del 12 ottobre, giorno del trionfo nel derby casalingo contro Cantù.
«Impossibile pensare, dopo le prime giornate, che tutta quella carica e quell’atmosfera potessero svanire – sottolinea Ossola – Anzi, proprio il fattore emotivo e la forza del gruppo sembravano le armi in più, quelle che avrebbero consentito di sopperire ad alcune lacune».
Dall’altare alla polvere: il match di Cremona, dal punto di vista caratteriale, è stato l’esatto rovescio della medaglia rispetto al glorioso derby della prima giornata.
«Ma Pozzecco, che è stato e rimane il nostro acquisto più importante, deve essere il primo a credere di poter restituire al gruppo quella voglia e quella convinzione, perché è ancora possibile farlo, ed è soprattutto fondamentale che questo avvenga – avverte il play di tanti, storici trionfi – È chiaro però che Gianmarco tutto può fare tranne rimettersi i calzoncini e tornare in campo, per cui l’apporto e il valore dei giocatori restano decisivi».
Già, questione non da poco. «Mi verrebbe da dire che quello che manca è soprattutto qualche soldino in più», afferma Ossola, che va però oltre, estendendo la riflessione a tutto il movimento: «La vera questione è che gli stranieri che arrivano in Italia oggi non sono più i campioni di una volta, ma le quarte o quinte scelte. È evidente che bisognerebbe valorizzare di più i vivai o seguire l’esempio positivo di Reggio Emilia».