MILANO – I suoi soprannomi: “burattinaio”, “ras di Forza di Italia”. Per molti anni è stato uno degli uomini politici dietro le quinte più importanti del suo partito in Lombardia. “Venivano tutti da me a chiedere qualcosa: l’imbianchino, il primario, il carabiniere, l’assessore, il sindaco”.
Da Gallarate la bacchetta di Nino Caianiello ha diretto nomine, appalti, consulenze, candidature finche’ l’inchiesta della Procura di Milano ‘Mensa dei Poveri’, riferimento ironico a un noto ristorante vicino alla sede della Regione da sempre scenario di intrighi di potere, nel 2019 ha fatto giganteggiare la sua figura in un presunto articolato sistema di corruzione. E’ finito in carcere, una prima volta in custodia cautelare e poi per scontare la pena patteggiata a 4 anni e dieci mesi per corruzione. Dallo scorso 23 dicembre è un uomo libero e ha molto da dire all’AGI sul prima, il durante e il dopo il giorno in cui è finito dentro.
“Non voglio fare l’eroe ma nemmeno nascondere nulla: ho patteggiato non per un calcolo processuale ma ammettendo i miei errori, le mie nefandezze, e anche perché venisse fatta chiarezza su quello che è successo, ma non so se mai verrà fatta perché il procedimento per gli altri è ancora in corso. Ero un uomo di potere ma non per interessi personali. Lo ero come strumento per i disegni politici del centrodestra. Io non ho mai avuto ruoli istituzionali, ero solo coordinatore provinciale di Forza Italia e nemmeno li volevo quei ruoli però determinavo a chi sarebbero dovuti andare i voti nell’ambito del centrodestra”.
Dice che “a livello economico non mi hanno trovato soldi all’estero né situazioni che evidenziassero chissà quali ricchezze”. Si definisce “un uomo di relazioni, mi assumevo delle responsabilità, cosa che i politici di adesso non fanno. Oggi vengono candidate persone che non hanno nessun legame col territorio”. Si rammarica “perché su cento cose fatte, dieci le ho sbagliate ma novanta le ho fatte buone e infatti attorno a me sono rimaste tante persone”. “Ricevevo chi mi chiedeva chi votare, chi voleva un favore per una visita in ospedale o per una pratica in Comune. Io mi attivavo per aiutarli, chiamavo i sindaci, facevo quello che potevo”.
Poi, le indagini, il racconto agli inquirenti della folla a mani tese che lo accerchiava tanto da fargli esclamare in un’intercettazione “Io faccio il sole e la terra che gira intorno” e il carcere. Il luogo dove “ho ricevuto più applausi che in tutta la mia vita di politico”, il luogo a cui ha deciso che dedicherà le sue migliori energie da ora in poi, a 65 anni.
“Vengo dal rione Sanità di Napoli, so cos’è la miseria e mia madre mi diceva sempre ‘guarda a chi sta indietro, non solo in avanti’. In carcere molte delle persone che ho incontrato erano malati psichiatrici o spacciatori, per lo più non italiani. Gli educatori sono pochissimi, gli agenti penitenziari sono ancora più carcerati dei carcerati, degni di tutta la mia stima”. E’ stato recluso prima a Opera dopo l’arresto e poi a Busto Arsizio per scontare la pena.
Il carcere, dice, “è una vendetta sociale che non condivido ma mi ha arricchito in umanità e sensibilità e in questo senso è stata un’esperienza positiva”. Racconta di aver cercato di mettere a frutto la sua capacità di relazione, quella per la quale un tempo era “il Ras”. “Per dare un senso alle mie giornate volevo essere utile agli altri. Aiutavo a scrivere le istanze di liberazione per i miei compagni che mi chiamavano ‘zio Nino’. Scrivevo le lettere alle fidanzate e alle mogli di alcuni di loro che avevano difficoltà a farlo, organizzavo i tornei di calcetto, aiutavo il cappellano, don David Riboldi, col quale ora sto svolgendo l’affidamento in prova oltre che con Don Mazzi”.
A Busto Arsizio ha visto un giovane uomo uccidersi e tanti altri punirsi con atti di autolesionismo. “Mi ricordo un ragazzo albanese che si tagliò un orecchio e lo tirò addosso a un agente”. E’ tornato ai vecchi studi di agraria, ha fatto un corso di teatro ma c’è un episodio che ricorda più di tutti. “Igor, un giovane muscoloso ucraino, mi chiese di parlare a un momento di riflessione sui morti in guerra. ‘Zio Nino, tu devi parlare’. Ho parlato davanti a una settantina di persone. Loro piangevano e io pensavo che un applauso così nella vita non l’avevo mai ricevuto”. Tornare alla politica non è nei suoi orizzonti. “Lo escludo ma in realtà politica è anche avere un ruolo sociale. E il carcere non lo mollo più, partecipo alle iniziative di ‘Nessuno tocchi Caino’ e voglio impegnarmi ad aiutare chi è rimasto dentro, a dare un senso a quello che mi è successo”.