Personalizzare o, come direbbero gli inglesi “tailorizzare”: è questa la parola d’ordine emersa dal congresso Sichig (Società Italiana di Chirurgia Ginecologia) 2011 sulla chirurgia vaginale dei difetti del pavimento pelvico, svoltosi venerdì al Centro congressi hotel Settecento di Presezzo, organizzato dal reparto di Ginecologia e Ostetricia del Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro.
La giornata, che ha visto la partecipazione di numerosi esperti italiani e internazionali (tra cui il dottor Clave Henri, uno dei massimi esperti di chirurgia protesica in questo ambito) è stata l’occasione per confrontarsi sulle opzioni terapeutiche oggi disponibili per la correzione del prolasso genitale, patologia che riguarda tre donne su dieci dai 50 anni in su (ma può interessare anche donne più giovani) e ha spesso importanti ripercussioni non solo a livello fisico e funzionale ma anche psicologico e di vita sessuale.
«Per prolasso si intende un’ernia che si manifesta a livello vaginale: in pratica gli organi contenuti normalmente nella cavità pelvica, “sorretti” dai muscoli del pavimento pelvico, scendono verso il basso e nei casi più gravi fuoriescono dalla vagina, provocando sintomi che vanno da una sensazione di peso al basso ventre a dolori durante i rapporti sessuali» spiega il dottor Rolando Brembilla, direttore del Congresso (insieme al dottor Luigi Frigerio, primario di Ginecologia e Ostetricia degli Ospedali Riuniti di Bergamo) e primario di Ginecologia e Ostetricia del Policlinico San Pietro, ospedale che vanta un’ampia casistica in questo ambito con tecniche all’avanguardia.
«Non esiste un solo tipo di prolasso: quest’ernia infatti si può manifestare a livello anteriore quando interessa la vescica, centrale se fuoriesce l’utero e posteriore quando riguarda il retto (porzione inferiore del tubo digerente ). Ed esistono anche diversi livelli di gravità. Già da questi elementi è evidente quindi che l’approccio chirurgico non può che essere “personalizzato” sulla paziente, anche in base alla sua età e le sue aspettative» continua il dottor Brembilla. Se una volta infatti le nostre nonne, arrivate a una certa età, accettavano di convivere con disturbi come questo, oggi le esigenze delle donne, anche di quelle di una certa età, sono cambiate.
«C’è stata una profonda modificazione sociologica e culturale: oggi la donna è più informata e consapevole e soprattutto pretende, giustamente, di poter vivere appieno la propria vita, anche dal punto di vista sessuale, anche in età avanzata. E di questo lo specialista non può non tenerne conto. Per questo negli ultimi anni la sensibilità medica nei confronti di questo problema e dell’intervento chirurgico è molto aumentata. Quando si opera un prolasso non bisogna mai dimenticare che su tratta di un organo copulatorio.
E questo vale ancora di più nel caso di pazienti giovani» osserva il dottor Brembilla. L’obiettivo oggi quindi non può più essere solo quello di ripristinare una corretta anatomia, ma anche una buona funzionalità. Da qui la ricerca di tecniche sempre nuove e all’avanguardia, in grado di offrire il miglior risultato anatomico ma anche il minore impatto sulla qualità di vita della donna.
«La chirurgia di questa patologia, che ormai rappresenta uno degli interventi maggiormente eseguiti in ambito ginecologico, è molto cambiata rispetto a qualche decennio fa. Una volta esisteva una tecnica unica, oggi invece abbiamo a disposizione diverse tecniche, che si evolvono anno dopo anno, di cui lo specialista può avvalersi, scegliendo quella più indicata per il singolo caso». A seconda della gravità e dell’età della donna oggi si può intervenire con la chirurgia protesica, che consiste nell’inserimento di una piccola rete in grado di sostenere gli organi e riposizionarli, oppure con la chirurgia fasciale con la quale si ricostruisce il pavimento pelvico usando le strutture fasciali già presenti.
«In pratica si posizionano dei punti di sutura trasversali nelle zone di ispessimento dei tessuti delle fasce, quando questi siano di buona qualità, per riuscire a creare un piano si sostegno agli organi e “tenerli su”. Sia che si opti per la chirurgia protesica sia per quella fasciale, comunque, si cerca sempre, nei limiti del possibile, di privilegiare la via vaginale, rispetto a quella addominale molto usata in passato: anche se più complessa infatti è migliore perché molto meno invasiva» spiega il dottor Brembilla. Le nuove tecniche sono fondamentali però da sole non bastano per garantire la buona riuscita dell’intervento e soprattutto del post-intervento: molto sta alla sensibilità ed esperienza del medico.
«Pur esistendo delle Linee Guida all’interno delle quali muoversi, è solo la pratica sul campo, durante ma soprattutto dopo l’intervento ascoltando le pazienti, che può darci le indicazioni per migliorare sempre di più l’approccio chirurgico a questa patologia e offrire quindi alla paziente la migliore opzione terapeutica per lei» conclude il primario.
a.ceresoli
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