Mi sono gustato con immenso piacere la pagina che avete dedicato sul giornale di ieri al ricordo di Peo Maroso. Vi faccio i miei complimenti. Spero tanto che in futuro in tanti, comprese le istituzioni, si uniscano a voi nel tenere vivo il ricordo di questa straordinaria figura che tanto ha fatto per lo sport della nostra città.
Sono passati tre anni da quando il Peo fece finta di andarsene, in realtà continua ad accucciarsi sulla punta del Campo dei Fiori come faceva dalla sua casa di Avigno, spalancando le finestre oltre le nuvole per capire dal silenzio o dal boato proveniente dal Franco Ossola se il Varese avesse vinto o perso (“maledetto” il medico che gli impedì di frequentare lo stadio per paura che il suo cuore non reggesse). È un peccato che Maroso venga ricordato solo in occasione dell’anniversario
della morte (ma lui sorriderebbe, facendo spallucce: «Se succede anche a Borghi, chi sono io per lamentarmi?»), e soltanto dagli amici del calcio o della “Provincia”. Maroso per noi è ben più che una leggenda del Varese e del pallone, o il vero capo della Curva “Maroso” che infatti lo ricorda con un coro, un pensiero o uno striscione a ogni occasione buona (avessero tutti la loro memoria). Quale altro varesino famoso dell’arte, della cultura, della politica e dell’impresa ha sempre messo la sua città, come una bandiera, davanti a qualunque altra città d’Italia, e perfino a se stesso?