Per i frontalieri beffa in pretura su «Bala i ratt» non c’è danno

CANTON TICINO – “Bala i ratt”, la campagna dell’Unione Democratica di Centro, Udc, del Canton Ticino contro i frontalieri costa 350 franchi ai frontalieri stessi. O, per meglio dire, ai nove che, patrocinati dall’avvocato luganese Paolo Bernasconi, avevano tentato di fermarla, chiedendo di visionare i manifesti della terza fase prima che fossero affissi.

Lo stabilisce la sentenza del pretore di Lugano, Franca Galfetti Soldini che ha addebitato ai nove lavoratori italiani pendolari di confine le «tasse di giustizia», 350 franchi, altrettanti euro o quasi, perché dalla terza ondata di manifesti «non è chiaro quale danno grave e difficilmente riparabile potessero subire i frontalieri» E’ la motivazione della sentenza che sarà impugnata dall’avvocato Bernasconi. Aveva già spiegato e ribadisce la propria contrarietà a quello che chiama «il partito dell’odio», sentimento che s’è espresso attraverso i manifesti: i primi raffiguravano i frontalieri come topi intenti ad ingozzarsi di emmenthal, il tipico formaggio svizzero, insieme a clandestini e a delinquenti d’importazione; la seconda fase, «Ronfa i gatt», impallinava Berna e le autorità di ogni livello che dormivano mentre la Svizzera veniva presa d’assalto dagli stranieri.

Rientravano nella propaganda in corso in Canton Ticino nella primavera scorsa per le elezioni cantonali che videro l’affermazione della Lega dei Ticinesi, due ministri su cinque al Governo, schierata dalla parte dell’Udc, il quale ebbe minor fortuna. Nel frattempo, fu un coro di indignazione e di esecrazione pressoché unanime, al di qua e al di là dal confine, da Bruxelles a Roma, contro la campagna e nel timore che la preannunciata terza fase contenesse ancora «messaggi

offensivi e lesivi per migliaia di lavoratori», l’avvocato Bernasconi e i nove frontalieri chiesero la visione preliminare. «Sem a la fruta», siamo alla frutta, era lo slogan. Il giorno prima dell’udienza, il 20 marzo, i manifesti – ter furono pubblicati dal settimanale «Il caffè». L’istanza di visionarli prima cadeva, poiché la pubblicazione era ormai avvenuta. Che cosa rimaneva, dunque? «La ripartizione delle spese legali», conclude il giudice. Ma a chi sarebbero toccate? Il pretore si sofferma sulle «probabilità di buon esito dell’istanza», lasciando intendere che l’esito sarebbe stato a sfavore dei ricorrenti: ecco perché sono stati condannati a corrispondere la tassa. Avrebbero avuto torto: non sono stati in grado di portare elementi concreti «relativi al grave danno subìto», sottolinea la sentenza, non basta affermare che la campagna è stata subissata da critiche da parte delle autorità e delle organizzazioni italiane, svizzere ed europee.

Maria Castelli

e.besoli

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