Ennesima delusione nazionale. I presupposti per tornare alle Olimpiadi c’erano tutti, ma la Croazia è stata più forte, più solida, più concentrata, più tutto. Dopo l’argento del 2004 ad Atene, l’Italia non ha più messo il naso nel torneo a cinque cerchi, e la sconfitta di sabato sera (84-78) al Pala Alpitour di Torino per questo motivo brucia ancora di più. Perché una generazione dal talento sconfinato ha mancato nuovamente l’obiettivo.
Da troppe parti è stata definita come la più forte di sempre, non si capisce bene grazie a quali meriti. Ne abbiamo parlato con Werther Pedrazzi, giornalista del Corriere della Sera che sabato era in tribuna stampa, e ci aiuta nell’analisi di questo fallimento azzurro: «Parto dicendo una cosa: non mi aspettavo la sconfitta ma la temevo, perché qualcuno pensava fosse facile battere due volte la Croazia nel giro di poco tempo. La Croazia di Saric,
di Bogdanovic, di Ukic, mica gli ultimi arrivati. L’ho davvero sofferta questa sconfitta, perché tanti piccoli dettagli hanno determinato un risultato maledetto che dopo dodici anni di assenza ci estromettono di nuovo dal torneo olimpico». C’è però anche qualcosa da salvare: «Non avevo mai visto un pubblico così appassionato, addirittura meglio che nelle arene di Eurolega. Abbiamo sfiorato un’occasione che ci avrebbe permesso un grande passo avanti nella realtà cestistica nazionale, non solo per la nazionale stessa». Ma questa era davvero la cosiddetta “nazionale più forte di sempre”? «Sono sempre rimasto freddo su questa definizione. Nazionale più forte di sempre perché? É un giudizio deviato da falsi idoli, il basket è uno sport di squadra basato su una struttura molto semplice, l’asse play-pivot. Se penso a Marzorati-Meneghin, non mi sembrano più scarsi dei giocatori attuali. Il giudizio è falsato dal fatto di avere dei giocatori Nba nel roster, per le potenzialità a disposizione, questa squadra avrebbe dovuto raccogliere molto di più». A questo punto, il ciclo olimpico che porterà a Tokyo 2020 può essere l’ultimo per questa generazione di campioni: «A mio parere no, per questa generazione l’ultimo tram, o ultimo metro, di mezzanotte è passato sabato sera. Magari ci saranno giocatori che avranno un futuro più lungo, ma se penso ai Belinelli, ai Bargnani e ai Gallinari, credo di no. Prendiamo ad esempio proprio quest’ultimo, il ragazzo delle sette operazioni. Proiettare il suo fisico su un altro ciclo di quattro anni mi sembra dura, non possiamo farlo».
Un altro dubbio invade il pensiero degli appassionati: che ne sarà di Ettore Messina? «Ho sinceramente paura dei processi mediatici sulle scelte di Ettore Messina, so già che mi arrabbierò perché a posteriori sono bravi tutti. Lui ha una mentalità estremamente sintetica, inquadra un obiettivo con procedura analitica e divide i giocatori in categorie per raggiungerlo. Adesso magari gli rinfacceranno di aver escluso Della Valle per portare Tonut, ma per un totale di 7-8 minuti nell’intero torneo, cosa sarebbe cambiato? Cosa poteva dare di più Tonut? Si potrebbe obiettare sulla mancanza di un play di riserva, ma lui ha puntato forte su giocatori fisicamente pronti ed esplosivi come Hackett, tra l’altro il migliore azzurro per distacco. A livello europeo ci vuole gente così. Per tornare alla domanda iniziale, non so se Ettore resterà, ma mi auguro di sì». Alcuni giocatori, alla resa dei conti, hanno deluso: «Verissimo, siamo giornalisti e alla fine il diritto di opinione, piaccia o meno, ci spetta. Per questo dico che due ragazzi come Ale Gentile e Andrea Bargani non si sono dimostrati all’altezza del ruolo. Più passano gli anni e più Alessandro Gentile tira peggio e non riesce a riconoscere le situazioni di gioco, gestendole male, come l’ultimo possesso dell’anno scorso contro la Lituania. Sono errori imperdonabili a questo livello, come la rimessa sbagliata ne momento decisivo sabato. Andrea Bargnani invece non può pensare che sia sufficiente giocare bene tre minuti ad inizio partita, quando c’è meno tensione, per essere utile alla causa».