Nicolò Ramella non ha ripercorso le orme illustri di papà Ernestino, calciatore di successo negli anni Settanta, e, permetteteci di dirlo, è un bene: per il giornalismo, che ha trovato un professionista attento e puntuale, capace di emozionare con le sue telecronache in onda non solo su Rete 55 ma anche sulla principale televisione a pagamento italiana.
Sono uomo di campo e non intendo affrontare la questione economica, a cui si deve necessariamente fare riferimento. Mi limito a dire che è mancata la competenza in chi ha costruito le squadre e le ha gestite, a tutti i livelli, partendo dalla cima della piramide. Ma se il vertice ha sbagliato, le altre componenti non sono state da meno. E poi c’è chi non ha investito nel proprio settore giovanile. Il vivaio è fondamentale e costruire i ragazzi in casa è sempre una ricchezza.
Serenamente, proprio come ha fatto mio papà. Si vede che non era ancora il momento giusto ma prima o poi allenerà il Varese. Ha una voglia immensa di allenare e lo farà per i prossimi vent’anni. E poi adesso la squadra è in buone mani: Giuliano Melosi ha fatto un grande lavoro e se tutti parlano della qualità dei biancorossi, bisogna rimarcare i meriti dell’allenatore, capace di amalgamare il gruppo e di portarlo a trionfare nel campionato di Eccellenza.
A Gavirate avevo anche ottimi compagni, come Coghetto, Minervino e Agazzone. All’epoca c’era maggiore qualità in tutte le squadre, tant’è vero che il Varese non era riuscito a vincere quel campionato e nella finale dei playoff del girone, a Saronno, proprio contro il Gavirate, si era dovuto accontentare del pareggio (2-2, ndr). Oggi è solo il Varese ad avere grande qualità, mentre gli avversari appaiono un po’ più modesti rispetto a quelli di allora…
Partirei dalla base e rifarei il palaghiaccio: va ricostruito da capo per tentare di riportare quel clima che, negli anni d’oro, richiamava sugli spalti tante persone. Non solo ultras ma intere famiglie, unite per i colori gialloneri proprio come ora accade al Franco Ossola per il Varese Calcio. Ripensare il palaghiaccio attirerebbe sponsor e investitore e darebbe un futuro sereno all’hockey che sarebbe più seguito.
Il lavoro, l’umiltà e la competenza vanno premiate e la Pallacanestro Varese deve riconoscere chi ha queste doti: Max Ferraiuolo è il simbolo del basket varesino e la persona che è in grado di unire tutte le componenti, dirigenti, giocatori e tifosi. Dovrebbe avere più poteri ma avrebbe bisogno di un partner forte come accadeva negli anni Novanta quando, oltre a essere un ottimo playmaker, se la cavava anche in tv: proprio su Rete 55 conduceva un programma cult intitolato “Cecco e Max”, insieme a Vescovi. Se qualcuno chiedesse a Cecco Vescovi di tornare, sono sicuro che lui ci penserebbe. E poi bisogna rilanciare il vivaio.
Il Varese Calcio ha davvero una “visione reale”, come l’ha battezzata il vicepresidente Piero Galparoli. La nuova società è partita con i piedi per terra e ha appena annunciato di avere i soldi per fare la Serie D. L’unica cosa che auspico è di rivedere un nuovo De Luca e un nuovo Pisano: ma questa volta mi auguro che i nostri giovani arrivino in Serie A con il Varese.
Calcistacamente il mio cognome mi ha penalizzato perché sono stati fatti tanti confronti ingenerosi. La mia carriera è stata modesta ma non mi lamento anche perché poi ho sentito la vocazione per il giornalismo e mi ci sono buttato a capofitto: è una professione che adoro e che non cambierei con nessun’altra. Tornando a mio papà posso dire che mi dispiace non averlo potuto applaudire quando segnava al Franco Ossola di testa, sotto la curva nord, perché non ero ancora nato. Lo ringrazio per tutto quello che mi ha insegnato e per i valori che mi ha trasmesso. E lo ringrazio per non avermi mai voluto spingere: è un grande uomo.
Ce l’avevo fin da piccolino, quando telefonavo al mio migliore amico per fargli la telecronaca in diretta delle mie partite al computer o alla playstation. Dopo il liceo mi sono iscritto alla Cattolica e ho realizzato il mio sogno nove anni fa, quando sono approdato a Rete 55 che mi ha dato la possibilità di raccontare tante belle storie, come il ritorno in B del Varese, nel 2010. E se sono arrivato anche a Sky è perché ho incominciato a Rete 55.
Le categorie non contano, sia che fossi in Champions League o in Eccellenza perché amo il mio mestiere e l’adrenalina è sempre a mille. E poi il Varese è il Varese.