Aveva gli occhi fuori dalle orbite e l’umore sottoterra. L’arbitraggio di Mariani è stato solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già stracolmo. Perché troppe sono state le ingiustizie subite dal Varese da due mesi a questa parte. A Nicola Laurenza l’arrabbiatura non è ancora passata, anzi.
«Sono incazzato da settimane e martedì ho perso le staffe – attacca – Stiamo subendo dei torti palesi e ho sbottato perché ho visto i ragazzi avviliti e mortificati, come del resto lo ero io. Io non voglio giudicare gli arbitri, e sia chiaro che questo non deve essere considerato un alibi. Loro sono uomini e quindi, come tutti noi, possono sbagliare. La serie di episodi negativi sta però diventando insopportabile, e quindi è giusto farsi sentire».
Paradossalmente, sarebbe forse stato meglio perdere quella partita contro l’Avellino, quando al Varese fu concesso un gol viziato dalla carica sul portiere avversario all’ultimo assalto.
«Questo non lo so, ma il calcio ha la soluzione per ovviare a tutto questo – dice il patron – Non è una cosa che può decidere solo l’Italia, ma oggi c’è la possibilità di sfruttare i progressi della tecnologia, che ci può permettere in tempo reale di giudicare oggettivamente gli episodi più controversi. Finché non si avrà questa volontà, ci saranno sempre degli errori».
Oltre al danno, anche la beffa. Visto che il Varese molto probabilmente avrà fuori causa Blasi per le partite decisive: «Mi auguro di poterlo avere a disposizione, anche se le sue condizioni tendevano al critico. Spero proprio di non essermelo giocato in questo momento chiave del campionato».
Laurenza, però, è uno che non si scoraggia. E adesso più che mai, visto che mancano ancora 270 minuti dove tutto può ancora succedere. «Io non volevo fare il piangina o mostrare segni di debolezza, né volevo o voglio chiedere aiuto a qualcuno. Io ho visto solo la frustrazione dei ragazzi per decisioni ingiuste, ma la squadra è viva e lotterà fino alla fine».
Tranne la parentesi di Cittadella, infatti, il Varese dà l’idea di esserci ancora. «Io ho le quote di maggioranza della società, e sono anche il primo tifoso biancorosso. So giudicare quello che vedo, e da quando è tornato Sottili la squadra gira. Purtroppo i risultati ci stanno dando torto, ma io confido molto nelle tre, o cinque, partite che mancano alla fine della stagione. Il Varese ha tutte le caratteristiche per uscire da questa situazione».
C’è qualcosa che il presidente non rifarebbe, se avesse la possibilità di tornare indietro? «Finita la partita, la maggior parte di noi non sbaglia quasi mai. È sempre facile vincere il giorno dopo: di certo io rifarei tutto quello che ho fatto».
Nessun pentimento, dunque, di essere il patron biancorosso: «Assolutamente no, sono entusiasta come il primo giorno. Avevo solo bisogno di capire certe tematiche di spogliatoio e di società. Non sono pentito di niente, tanto meno di essere il presidente del Varese. L’ho fatto anche per dare continuità al progetto di sponsorizzazione del club e come forma di rispetto verso i dipendenti, i tifosi e la piazza in generale».
Come si esce da questa situazione, che comunque resta molto complicata? «Con la nostra gente. E la ringrazio, perché se ci fosse una classifica speciale che fa una proporzione tra tifosi in casa e in trasferta, saremmo primi in classifica, staccando di gran lunga le seconde. Noi facciamo regolarmente 3.500-4.000 spettatori in casa e ne portiamo 400-500 in trasferta, un rapporto di uno a dieci senza paragoni in serie B. Il loro campionato i tifosi l’hanno già vinto e non posso che ringraziarli. Passano ore e ore su auto e pulmini, prendono treni e aerei per il Sud».
Quindi? «Adesso mi aspetto che il Franco Ossola continui il trend crescente di presenze, perché mai come ora il Varese ha bisogno del calore dei suoi tifosi».
Nicola Laurenza ha un obiettivo chiaro, che è anche il sogno di tutti noi: «Il mio desiderio più grande è mettere in sicurezza questo campionato per tornare a dedicarmi a tempo pieno ai progetti infrastrutturali, che ultimamente ho trascurato per dedicare tutte le mie attenzioni ed energie alla salvezza. Ma sono ancora più determinato di prima».
Il progetto stadio, quindi, va avanti. «Appena arrivato qui, sono entrato a pieno nel concetto della rivoluzione infrastrutturale. Se non si cambia il modello di business non è possibile crescere a livello di calcio italiano. Sono convinto che un giorno avremo il nostro stadio nuovo: non manca molto. Sto raccogliendo le risorse e sto cercando di fare quadrato intorno ai cardini del mio progetto. Che concluderò con il successo che questa città si merita».
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