Chissà che cosa ne penserebbe lui. Lui che di Castellanza è stato e continua a essere uno dei figli più brillanti con l’impronta di creatività e passione che ha lasciato nel settore tessile e chimico.
Lui, il visconte Leonardo Cerini vissuto tra il 1883 e il 1964, nel vedere lo slargo a lui intitolato deturpato da scritte di dubbio gusto storcerebbe quasi certamente il naso. Già, perché se è vero che vi sono due spazi che lo nobilitano nella cultura che egli sempre promosse come la biblioteca e il centro civico e vi è un Olona che scorre placido a simboleggiare il connubio tra erudizione e natura, vi è anche una serie di “fantasie
grafiche” che poco si sposano con il resto. Che uno dei cartelli toponomastici a lui intitolati penda verso il basso stile torre di Pisa sarebbe il meno. Il fatto è che dalla scalinata ai muri fino al camminamento che porta alla biblioteca è tutto un fiorire di istoriamenti. Disegni più o meno riusciti, dichiarazioni d’amore che importeranno ai diretti interessati ma ben poco agli altri, esperimenti di grafia che mendicano un senso compiuto dalla fantasia di chi passa.
Insomma, tra cultura (cioè biblioteca e centro civico) e natura (Olona) spunta la scrittura che, in molti casi, è sinonimo di lordura. E qualcuno, mosso forse da una crisi di rimorso, ha pure lasciato la scritta “non si scrive sul ponte”. Che lo abbia fatto prima che fiorissero tutte le altre scritture o dopo per reprimenda importa fino a un certo punto. Quelle scritte ci sono e non sono proprio uno spettacolo di arte né antica né moderna. E la domanda non può non affiorare: con l’avvento della moderna tecnologia che consente di raggiungere in un battito di ciglia a suon di whatsapp, facebook o sms coloro a cui vuoi fare passare un messaggio, utilizzare spazi pubblici per veicolarlo appare, oltrechè inopportuno, anche anacronistico. Forse qualcuno avrà voluto rendere omaggio a quel periodo preistorico in cui, non essendoci ovviamente neppure nei pensieri più reconditi il progetto di Internet e dei social, ci si affidava a incisioni rupestri per far rimanere testimonianze della propria civiltà. Della propria civiltà, si è detto. Appunto, non dell’inciviltà. E quelli erano disegni di scene di caccia o corse, combattimenti o cerimonie particolari. E aiutavano a capire la storia di quei popoli e le loro vicissitudini. Erano un contributo all’evoluzione dell’arte e della storia. L’esatto opposto di quelli che si presentano invece nello slargo dedicato al visconte Cerini.
Urge risistemazione, anche in omaggio alla memoria di colui a cui la piazza è intitolata. E chissà cosa ne pensano, dovunque siano ora, gli autori delle incisioni rupestri degli albori della storia umana. Azzardiamo, forse domanderanno “e poi i preistorici saremmo noi?”.