BUSTO ARSIZIO – Irene Pivetti avrebbe collaborato, tra il 2018 e il 2019, “con soggetti chiaramente orbitanti in un contesto di criminalità organizzata” di “matrice camorrista” e sarebbe stata coinvolta in “attività di contrabbando di idrocarburi”, anche se non è stato “possibile identificare” le “specifiche operazioni di contrabbando in relazione alle quali” avrebbe svolto “un ruolo attivo”. Lo scrivono i pm di Busto Arsizio negli atti depositati con la chiusura dell’inchiesta a carico dell’ex presidente della Camera, accusata di frode in forniture pubbliche e altri reati nell’ambito dell’ormai nota vicenda della compravendita dalla Cina di mascherine, in piena pandemia Covid, per un valore di 35 milioni di euro, delle quali ne sarebbero state consegnate, secondo l’accusa, solo per un valore di 10 milioni e di qualità scadente, con falso marchio CE.
In un capitolo della richiesta di custodia cautelare per Pivetti e altri indagati, che risale a gennaio, respinta dal gip che dichiarò la competenza di Roma ad indagare (pure il Riesame di Milano fu sulla stessa linea), i pm tracciano un quadro del “coinvolgimento” di Pivetti in altre “gravi vicende criminali”, che non riguardano, però, le imputazioni del caso mascherine, per le quali hanno già chiesto il processo. Per i pm l’ex esponente leghista, così scrivono, “non si è fatta alcuno scrupolo neppure di fronte alla prospettiva di collaborare attivamente con ambienti di criminalità organizzata”. E riportano dettagli su uno suo presunto coinvolgimento con due persone “orbitanti in ambito camorristico” per una vicenda di presunto contrabbando di carburanti. Caso non contestato in questa indagine a Pivetti. Tra i co-indagati di Pivetti nel caso mascherine figura, poi, l’imprenditore Luciano Mega, che per i pm sarebbe vicino “ad ambienti ‘ndranghetisti”.