15.329, questo è il numero dei gallaratesi che domenica 22 ottobre si sono recati alle urne per esprimere il proprio voto in merito al referendum per l’autonomia indetto dal Presidente della Lombardia Roberto Maroni. Una cifra, pari al 38,24% degli aventi diritto, che soddisfa il primo cittadino .
«Sono soddisfatto – afferma – soprattutto se rapportiamo il dato alle altre grandi città della Lombardia». Infatti, guardando con più attenzione i risultati, nell’elenco dei 15 comuni lombardi con più di 50.000 abitanti, Gallarate occupa il secondo gradino del podio sia per l’affluenza alle urne sia come percentuale di “si”.
«Complimenti! – esulta il primo cittadino – siamo secondi solo a Busto Arsizio». Il sindaco leghista però, si aspettava di raggiungere una quota più alta perchè «visto il tema in discussione, ovvero la possibilità di trattenere più competenze e risorse sul territorio, mi auguravo che almeno il 95% dei miei concittadini andasse a votare».
Il motivo è da ricercare non tanto nelle dichiarazioni di voto, in pochi hanno promosso il “no”, ma nell’astensionismo «è chiaro che gli elettori che tendenzialmente votano a sinistra non si sono recati ai seggi – sottolinea Cassani che aggiunge – anche gli esponenti del Partito Democratico che erano per il “si” (come il sindaco di Bergamo e di Varese) non hanno influito molto».
Ma nella città dei due Galli dove si è votato di meno? «I seggi corrispondenti alle zone con più immigrati e con più stranieri “italianizzati” hanno percentuali di affluenza più basse – dichiara il capo della giunta di centrodestra – Sarebbe interessante vedere se chi viene a chiedere sussidi o alloggi abbia compiuto il proprio dovere».
Una provocazione che nasconde un messaggio ben preciso «è inutile – rimarca – continuare a bussare al portone del Comune o fare ore di coda fuori dai servizi sociali se poi non si destina nemmeno qualche minuto del proprio tempo per chiedere più competenze e risorse per il proprio territorio».
Il referendum ha rappresentato anche il primo test per il voto elettronico che ha causato qualche inghippo nei seggi «Se ti confronti con un nuovo metodo puoi incontrare ad esempio, presidenti di seggio o scrutatori poco avvezzi con la tecnologia – afferma Cassani – Il problema è sorto con la compilazione dei documenti da inviare al tribunale e consegnare in Comune».
Il giorno dopo, la bassa affluenza, l’alto costo sostenuto (quasi 50 milioni) ed i problemi emersi, sono state le tre critiche mosse nei confronti della scelta di Maroni di non seguire la strada scelta dall’Emilia Romagna ovvero, fare ricorso all’articolo 116 della Costituzione.
«Peccato – precisa Cassani – che negli ultimi 8 anni sono ben 5 le Regioni che hanno intrapreso questa strada ma a Roma, hanno sempre detto di no».
«Alla luce dei milioni di voti registrati domenica – conclude Cassani – spero che a Roma abbassino la cresta ed evitino di perpetrare questa rapina»