Le poesie comparse su colonne e muri dei palazzi di Varese -fotocopie di grafia standard, un po’ di scotch per affiggerle, operazione di gusto minimal – sono una bella novità. Bella perchè di contrasto a tante brutture. Sconce e diffuse. Incivili e amorali. Una provocazione, forse. Oppure solo un promemoria. La brusca sveglia all’abitudinarietà che dorme, e può essere scossa: cambiata dal peggio al meglio. Basta volerlo, crederci, osare.
Ricordano, i versi d’autori celebri che tappezzano le vie del centro, la differenza tra una povera vita e una vita povera, come la teorizzò proprio un poeta: l’austriaco Rainer Maria Rilke: “Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate. Accusate invece voi stessi perché non siete abbastanza poeti da evocare la ricchezza interiore, poiché per un creatore non esiste povertà e non esistono luoghi poveri e indifferenti”.
Insomma: la vita povera è quella intrisa di logore consuetudini, di grevi noie, di squallidi disvalori. La povera vita racchiude ed esprime la vivacità interiore, la pace non se stessi e verso gli altri, la voglia di partecipare e condividere. Povera nella declinazione di semplice, genuina, vera. Una vita che ci appartiene fin dalla nascita e di cui spesso dimentichiamo l’assegnazione, il possesso, l’eredità.
Forse l’idea di recuperare questo bagaglio delle origini ha ispirato il gesto sorprendente degl’improvvisati (ma non sprovveduti) attacchini, che han voluto -più che dimostrare predilezione verso la saggezza d’autori immortali- rappresentare con un gesto ingenuo il colore dell’anima, così innocuo e brillante, a fronte del volgare colore della materia, dipinto su selciati, pareti e monumenti urbani da mani oltraggiose.
E’ come se si fosse voluto dichiarare: guardate che esiste un antidoto al morbo dei writers dello stupidario. E anche alla malattia del degrado allargato: l’incuria, la sporcizia, l’abbandono. Subìti l’uno e l’altro da una politica in impasse nel medicarli.
In fondo basta essere un po’ più poeti e un po’ meno prosaici. Cogliere il senso autentico del vitalismo, evocare il prodigio dell’inventiva felice, saper proporre i segni d’una creatività capace di lasciare un segno destinato alla meditazione. E’ così che una povera vita ha modo di trasformarsi in una vita povera: essenziale, libera, alla portata di chiunque la sappia riconoscere e interpretare. Insomma e infine: uno stesso orizzonte può mutare di linea se osservato con l’occhio d’una diversa angolazione d’umanità.
Esagerazioni? Possibile. Però qualche volta, inseguendole, si riesce ad acciuffare ciò che pare irrimediabilmente in fuga: la quotidianità che può anche fiorire, invece che solo sfiorire. I murali in lirica richiamano l’attenzione a una virtù che pare sul punto d’estinguersi, se non già del tutto estinta: la gentilezza. Il tratto cortese., il tocco di garbo. Ovvero qualcosa, al tempo nostro, di così raro da poter essere giudicato rivoluzionario.
Forse non ce ne siamo accorti, e tra noncuranze, distrazioni, superficialismi sono nati nel cuore della città una sovversione mite, un ribellismo silenzioso, un movimento di sollecitazione popolare alla palingenesi.
Il Comune dovrebbe rintracciarne i protagonisti, rendere pubblici i nomi, congratularsi, dargli un premio: la differenza tra chi merita e chi no, va simbolicamente marcata.
Max Lodi
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