Non un gran rifiuto, ma un signorile diniego. Roman Polanski non andrà a Locarno rinunciando a partecipare al Festival del film «dopo aver constatato – ha scritto – che la mia apparizione avrebbe potuto provocare tensioni e controversie da parte di persone contrarie alla mia presenza».
Il Festival, per espressa dichiarazione dell’Ufficio stampa, «subisce un contraccolpo», stigmatizzando quelle «interferenze nelle scelte artistiche» che considera «inaccettabili» e che sono state cause della decisione del regista, ma non è escluso che la sua assenza accresca paradossalmente la risonanza della manifestazione.
In Canton Ticino la querelle durava dal tempo dell’annuncio del Pardo d’onore – a un maestro del cinema – che sarebbe stato consegnato a Polanski la sera del 14 agosto e, già rinfocolata, adesso è destinata a fatalmente deflagrare. Riguarda, come si sa, l’accusa di violenza sessuale su una minorenne per cui nel 1977 gli fu inflitta una condanna negli Stati Uniti dove il caso non si chiuse, tanto da provocare nel 2009 l’arresto di Polanski a Zurigo, dove era stato invitato dal locale Film Festival, salvo poi scarcerarlo (e due anni dopo il regista ritirò il premio che gli era stato assegnato).
Il caso resta aperto anche per qualche esponente politico locarnese, ipercritico nei confronti di una presenza che giudica indebita, mentre i giornali ticinesi, riconoscendo il diritto di critica, gli avevano giustapposto il «principio della libertà artistica» nel quale ieri il Festival ha ribadito di credere fermamente, «a dispetto di qualsiasi tentativo di ingerenza e pressione».
Polanski, personalità tanto discussa quanto popolare per i suoi trascorsi esistenziali, quegli stessi che dal ghetto di Cracovia nel 1943 alla tragedia di Beverly Hills, l’omicidio atroce di Sharon Tate, moglie del regista e incinta di 8 mesi, nel 1969, da parte della setta satanista di Charles Manson, non gli avevano sottratto l’energia di un lavoro che del contatto con il pubblico vive, rinuncia senza polemica a una Piazza grande che domani dovrà accontentarsi di applaudire il suo “Venere in pelliccia”.
Ieri sera, intanto, il programma della Piazza ha assicurato un po’ di pace, seppure soltanto nelle cucine dei due ristoranti – uno di alta tradizione, l’altro etnico indiano – che si fronteggiano su uno sfondo perfettamente francese (della regione, per la cronaca, Midi-Pyrénées) in “The Hundred-Foot Journey” di Lasse Hallstrom, regista cui nel caso dà evidentemente credito “Chocolat”. La situazione conflittuale è destinata a risolversi in incroci gastronomico-sentimentali (qualcosa del genere accadeva in una ruspante fiction tv italiana di qualche anno fa) che adombrano quelli tra culture e tradizioni diverse, dove si esibiscono lussureggianti portate. Helen Mirren, che fu Elisabetta II, anche qui è sovrana.
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