Da che mondo è mondo, l’uomo farebbe carte false per predire il futuro. È proprio questa sete di sapere cosa c’è dietro l’angolo che ha fatto la fortuna di oracoli, indovini, auguri e aruspici fin dai tempi dell’antichità. Gente che, grazie alla presunta confidenza con le divinità, non solo vaticinava il domani, ma era in grado anche di fornire sapidi suggerimenti per intervenire negli eventi.
Fior di nerboruti condottieri hanno chiesto alla sibilla di turno cosa occorresse fare per sconfiggere l’esercito nemico. E hanno tentato di obbedire alle oscure sentenze della veggente. Smessa la pratica dell’analisi del volo degli uccelli e della disposizione delle viscere degli agnelli sacrificali, sono cominciati a intervenire strumenti più sofisticati. Dal pendolino medievale al mediatico polpo Paul – quello che profetizzava i risultati dell’ultimo Mundial – è stato sempre un fiorire di presagi e profezie. Alcune gratis, molte a pagamento. Tanto che si è costituita una scienza, la disciplina che consente di vaticinare, in base a campioni individuati con i crismi della statistica, le reazioni del prossimo di fronte a un determinato avvenimento.
E sono nati i sondaggi, gli oracoli dei tempi moderni. Non occorre neppure andare a Delfi o a Cuma per avere responsi. Basta un congruo numero di interviste telefoniche a interlocutori selezionati in base a sesso, età, professione, titolo di studio e mille altri particolari. I Tiresia del terzo millennio si chiamano Masia, Piepoli, Mannheimer. E se ci raccontano che gli italiani quest’anno per le loro vacanze sceglieranno il mare (39%), la montagna (20%), le città d’arte (5%) o il balcone di casa (36%),
siamo costretti a crederci: non esiste controprova, se non un ulteriore (dispendioso) sondaggio. Deve fidarsi anche l’imprenditore che si arrovella nel dubbio se per il mezzo chilo di vermicelli n.7 abbia più presa sulla massaia la scatola di cartoncino blu o l’involucro trasparente. Se poi la pasta non si vende, non sarà perché il sondaggio era farlocco, ma perché il grano duro del concorrente resisteva meglio alla cottura.
In un solo caso i sondaggi hanno una controprova diretta: le elezioni. Le previsioni di voto che fanno la fortuna degli istituti di ricerca demoscopica alla chiusura delle urne possono essere confrontate con i risultati reali. E qui cominciano i guai. Perché i flop elettorali dei sondaggisti ormai sono una tradizione consolidata. Alle ultime elezioni politiche si erano quasi dimenticati di Grillo (ossia di più di un elettore su quattro) alle Europee di domenica scorsa avevano pronosticato un testa a testa tra pentastellati e Partito Democratico che non solo non c’è stato, ma è finto con un secco 2-0 a favore di Renzi.
Spiegano, gli afflitti redattori di previsioni elettorali: a) che in Italia è difficile far dire con precisione alla gente cosa voterà; b) che quasi un italiano su due ha deciso praticamente in cabina dove fare la sua croce; c) che la situazione politica è così fluida che ogni fotografia dell’esistente vale per un nanosecondo, perché un attimo dopo tutto è già cambiato un’altra volta. E così dicendo ci spiegano che il loro lavoro non solo è inutile, ma perfino dannoso. Senza sondaggi, forse, la politica potrebbe tornare a interpretare il suo ruolo guida della società, indicando la strada da seguire in base all’utilità del percorso e alla validità della meta, non in base al gradimento della truppa marciante. Tanto più se il consenso, come dimostrano le ultime tornate elettorali, non soltanto è presunto: è proprio immaginario. E di tutto abbiamo bisogno, tranne che di creduloni nella stanza dei bottoni.
Marco dal fior
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