Una grande festa, una serata unica e speciale, che resterà nella storia. E ancora: un trionfo prezioso e meritato, scaturito dall’entusiasmo che ha unito i giocatori in campo e la gente sulle tribune. Il derby fra Varese e Cantù, match d’esordio in campionato di Gianmarco Pozzecco sulla panchina biancorossa, è stato tutto questo e molto altro ancora. Una tempesta di emozioni che abbiamo cercato di rivivere attraverso il vissuto, lo sguardo e le impressioni di alcuni grandi personaggi del basket varesino, tutti presenti domenica al PalaWhirlpool.
«Posso ben dire di aver preso parte a un evento eccezionale», esordisce , ex patron oltre che ex giocatore della Pallacanestro Varese, nonché persona estremamente vicina al Poz.
«Gianmarco attendeva questa partita con una carica emotiva incredibile – dice – ed è riuscito a trasmetterla a tutti». L’impatto emotivo ha giocato, dunque, il suo ruolo. Positivamente. «Sono convinto che un debutto del genere davanti al pubblico di Varese sia, per i ragazzi in campo, un qualcosa di troppo grande da immaginare, malgrado fossero stati opportunamente preparati. Gianmarco temeva proprio questo aspetto, ma nei giocatori esperti che ha in squadra ha trovato un conforto da questo punto di vista. Perché, oltre a essere un ottimo allenatore, ha una capacità straordinaria di comunicare con la squadra».
Ed è con questo spirito che è possibile vincere anche le battaglie più dure: «Cantù è più forte, almeno numericamente, ma Varese ha saputo imporsi grazie a fattori che non si riscontrano poi nelle statistiche a fine gara, come la voglia, il coraggio e la determinazione».
«Ho visto la squadra per la prima volta proprio domenica sera e devo dire che è stata una piacevole sorpresa», sottolinea , uno degli eroi della grande Ignis.
«Ho ammirato Daniel, centro di una forza e di una volontà incredibili, che se fosse più alto di qualche centimetro forse giocherebbe in Nba – aggiunge – Poi Diawara, ragazzo che ci mette un gran cuore. E ancora i due play, che hanno portato su la palla con maestria, anche se da Robinson vorrei un po’ di velocità in più. E Balanzoni, la scoperta più bella forse, perché più inaspettata».
Un pensiero, poi, a Pozzecco. «È stato fantastico, però dovrebbe rimanere più tranquillo, perché continuando così corre seriamente il rischio che le sue coronarie gli impediscano di arrivare a fine stagione – sorride Ossola – E io invece lo vorrei sulla panchina biancorossa per tanti anni».
«Bello risentire il “cata su”»
Non sarà una Varese da scudetto, ma di certo la squadra ha dimostrato carattere e valore, infischiandosene dei pronostici negativi. «Anche nel 1968, prima di iniziare il campionato, la stampa nazionale sosteneva che avremmo lottato per non retrocedere: invece vincemmo il campionato, dando il via al decennio d’oro».
«La partita di domenica ha risvegliato un entusiasmo che non vedevo da tanti anni, negli appassionati e non solo – commenta , grande ex e anima dello storico Trofeo Garbosi – Al di là della vittoria, la cornice è stata strepitosa: abbiamo perfino risentito il “cata su”».
Il pubblico di Varese, si sa, vuole vedere bel gioco, ma soprattutto attaccamento alla maglia e voglia di sacrificarsi. «E se la squadra giocherà sempre come ha fatto contro Cantù, assisteremo ancora a un grande spettacolo. E poco importa se qualche partita, com’è ovvio che accada, la si perderà».
Merito di chi, dalla panchina, ha trascinato la Openjobmetis al successo: «Pozzecco è un grande motivatore, ha una visione positiva delle cose e sa far lavorare i suoi giocatori. E poi ha dimostrato coraggio, dando spazio a un giovane come Balanzoni. C’erano i genitori del ragazzo fra il pubblico: ho osservato le loro espressioni durante la partita e ho visto sui loro volti la grande emozione per quello che il figlio stava facendo sul campo».
«Io credo che a Gianmarco Pozzecco si debba dire grazie, perché ha accettato una scommessa difficile, rischiando in prima persona, e ha riportato a Varese un’atmosfera paragonabile quasi a quella dei tempi d’oro – racconta – Domenica sera sembrava si stesse giocando una finale playoff, la partita che assegna il titolo».
E quel clima così speciale ha sovvertito i pronostici, sbilanciati dalla parte di Cantù: «Non dobbiamo pretendere una squadra da primissimi posti, perché con le risorse a disposizione era impossibile costruirla . Ed è normale che, sulla lunga distanza, certi valori possano emergere più nettamente. Ma nella partita singola può succedere esattamente quello che è accaduto stavolta: io pensavo che gli avversari, da un momento all’altro, potessero prendere il sopravvento, invece il nostro entusiasmo ha travolto tutto».
Resta solo un dispiacere: «I cori scurrili, gli insulti nei confronti degli avversari: che sia la nostra curva a intonarli o il pubblico di parte avversa, non importa. Sono cose che non c’entrano nulla con il clima di festa che si respirava e sarebbe davvero ora di smetterla. Faremmo bene a imparare il fair play dagli sport sani come il rugby o la pallavolo – conclude Zanatta – e non dal tifo calcistico».
Varese
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