Che gli organi siano preziosi, è noto.
Ma per capire quanto lo siano davvero, storie come questa possono aiutare.
La donazione di due reni equivale infatti a restituire la vita ad altrettante persone: ecco perché un Ospedale ha il dovere morale, in presenza delle competenze e delle tecnologie necessarie, di dotarsi dell’organizzazione, per quanto complessa e gravosa, per garantire la possibilità di donare gli organi ogni qual volta ci siano le condizioni e la volontà del paziente o dei suoi famigliari.
L’ASST Sette Laghi ne è convinta, ancor più considerato il suo ruolo di centro di alta specializzazione e di sede hub per tutte le reti dedicate alle patologie tempo-dipendenti.
Lo dimostra il prelievo avvenuto pochi giorni fa all’Ospedale di Circolo, frutto di una procedura molto complessa, che richiede una formazione specifica e che tecnicamente si chiama DCD uncontrolled, ovvero donazione per morte cardiaca non controllata.
Il prelievo è stato fatto su un paziente di media età, colpito da arresto cardiaco a domicilio. Nonostante la chiamata al 118 e i tentativi di rianimazione, avviati in tempi rapidi e protrattisi con il supporto del massaggiatore cardiaco meccanico fino all’arrivo in Ospedale, il cuore non ha ripreso a pompare sangue.
In Pronto Soccorso il paziente è stato collegato all’ECMO, una macchina sofisticata che consente la circolazione extracorporea e l’ossigenazione dell’organismo, compensando l’incapacità del cuore di farlo. Il paziente è stato quindi sottoposto ad accertamenti importanti, dalla TAC alla coronarografia, finalizzati ad individuare anche la minima possibilità di ripresa della funzionalità cardiaca. L’esito di questi esami è stato purtroppo negativo per la sopravvivenza del paziente, confermando però al contempo l’idoneità alla donazione.
La famiglia ha espresso la volontà di donare e la complessa macchina organizzativa ha proseguito il suo lavoro.
A raccontarla a asst-settelaghi.it è il Prof. Paolo Severgnini, Direttore della Terapia Intensiva Cardiochirurgica e uno degli autori del protocollo locale definito nel 2020 da ASST Sette Laghi per l’attuazione della procedura Donation after Cardiac Death: “Una volta appurata l’insussistenza di ogni possibilità di salvare il paziente, si procede a staccare l’ECMO e a far partire i venti minuti di elettrocardiogramma isoelettrico, per constatare ufficialmente il decesso. Trascorsi i venti minuti previsti per legge, si procede tempestivamente a riattivare l’ECMO
solo per la parte addominale, per tornare cioè a perfondere gli organi dell’addome che potrebbero essere donati. E’ necessario protrarre la perfusione per alcune ore, prima di poter procedere al prelievo degli organi destinati al trapianto. Nel caso in questione, dopo circa tre ore, si è ritenuto di poter procedere al prelievo dei reni, che sono poi stati trasportati nella sede di destinazione per restituire nuova vita a due persone, grazie allo straordinario gioco di squadra iniziato con i soccorritori di AREU, proseguito con il personale del Pronto Soccorso, poi della Radiologia e dell’Emodinamica, fino a quello della Sala Operatoria, con anestesisti, perfusionisti, cardiochirurghi, infermieri…“
“La donazione a cuore fermo è una delle ultime frontiere della donazione di organi – ha spiegato sempre su asst-settelaghi.it la Dott.ssa Federica de Min, Coordinatrice aziendale dell’attività di donazione e prelievo di organi – Ad essere più precisi, la possibilità di procedere alla donazione degli organi in pazienti deceduti dopo arresto cardiaco esiste da alcuni anni, ma una differenza sostanziale la fa il luogo in cui si trova il paziente: un conto è la procedura cosiddetta ‘controlled’, che riguarda i pazienti che vanno in arresto cardiaco in terapia intensiva, e quindi in un contesto ‘controllato’ fin dalla genesi, un conto è la procedura ‘uncontrolled’, ovvero quella del caso in questione, in cui l’arresto avviene a domicilio o comunque fuori dall’Ospedale. Mentre di procedure DCD a Varese ne abbiamo fatte una decina dal 2017, questo è il primo caso di DCD uncontrolled a Varese. Una procedura che richiede grande coordinamento e capacità, oltre che un intervento tempestivo. Fondamentale, ad esempio, è calcolare con precisione l’ora dell’arresto cardiaco e che il paziente arrivi in Ospedale meno di un’ora dopo l’evento“.
“La complessità di questa procedura – sottolinea Severgnini – è dimostrata dal fatto che sono pochissimi gli Ospedali lombardi in grado di eseguirla. Ma vale la pena approntarla, formare il personale, tentare ogni volta che ve ne è la possibilità: è un altro modo per far capire quanto gli organi donati siano preziosi per curare pazienti in attesa di trapianto e quanto sia importante rispettare una volontà espressa in vita“.