Primo giro da sogno L’ho vissuto e l’ho finito

Luca Chirico, ciclista di Porto Ceresio, ci racconta il suo esordio al Giro d’Italia

Ieri, nell’incredibile cornice di pubblico che solo Milano sa regalare, è finito il mio primo Giro d’Italia. Mentirei se dicessi che non sono contento: era ora, siamo tutti molto stanchi. Dopo tanti giorni lontano da casa, poi, emerge prepotente il desiderio di ricongiungerti con chi ti vuole bene, di tornare a dei ritmi più familiari.

In questa fine, però, i sentimenti si accavallano l’uno sull’altro, così come le sensazioni e gli insegnamenti che un’esperienza del genere ti lascia dentro.
L’ultima tappa è stata molto tranquilla: direi che fino alla prima entrata nel circuito cittadino di Milano abbiamo pedalato in totale relax. Una volta arrivati ai giri conclusivi, tuttavia, un po’ di bagarre c’è stata, perché c’era pur sempre in palio un’altra vittoria. Anch’io ho iniziato quindi a darmi da fare e a svolgere i miei compiti.

Solo nell’ultimo giro confesso di aver mollato un po’ e di essermi goduto quello che avevo intorno: l’ennesimo spettacolo di umanità varia e colorata.
Sembrava che il mondo fosse tutto a Milano ieri, il circuito era letteralmente avvolto dalla gente una cosa pazzesca. Tra questa enorme quantità di persone, io cercavo i miei cari: papà e mamma, la mia fidanzata, i suoi genitori e i miei zii, più tanti altri che da Porto Ceresio sono venuti a vedermi.
A un certo punto sono riuscito a capire dove fossero posizionati e la prima cosa che ho fatto una volta tagliato il traguardo è stato andare ad abbracciarli. Finalmente.
La gente era talmente tanta che nemmeno questa si è rivelata un’impresa facile, così come salire sul pullman della squadra e andare a fare la doccia: ogni cinque metri venivo fermato per una foto o un autografo.
Il primo pensiero all’arrivo è stato in ogni caso solo uno: mi sono reso conto di essere riuscito a finire il Giro d’Italia. Forse da fuori è difficile capire che tipo di soddisfazione possa essere: vedete, in una manifestazione del genere la posizione nella classifica finale conta solo per chi arriva fra i primi dieci; gli altri, tutti gli altri, riescono a dire solo una cosa: «Ce l’ho fatta!».
Queste sono state le mie prime tre settimane della corsa più importante che esista al mondo, seconda, forse, solo al Tour: alla conclusione tiri le somme e, insieme alla soddisfazione che provi, cerchi solo di comprendere come potrai restare ancora parte di questa carovana e come potrai migliorarti.
È questo il grande insegnamento del mio primo Giro: ho capito cosa significhi fare questa vita, quali sacrifici comporti, quante rinunce occorrano. Ho capito quanto sia importante credere sempre in se stessi per riuscire, avere ambizione: io posso rimanere tra questi campioni, ma devo continuare a lavorare. Voglio essere qualcuno nel mondo del ciclismo.
So che ora vorreste sapere quali sono state le emozioni più belle: va bene, vi accontento. Nel citare la gente sulle grandi salite come Mortirolo e Colle delle Finestre che ti incita e grida il tuo nome, vi dico però che l’emozione più forte è stata passare da Porto Ceresio. Casa mia.
Alcuni corridori non hanno mai la fortuna di transitare per le loro zone, altri sono costretti ad aspettare per anni: io, alla mia prima volta, ho già avuto la gioia di vedere il mio paese in strada a tifare per me. Impagabile.

Cosa farò ora? Una settimana di allenamento defaticante e poi il Giro di Slovenia: ci vado con ambizioni, perché il Giro ti lascia dentro una condizione che non puoi non sfruttare. Dopo mi riposerò qualche giorno al mare, poi ancora ritornerò in sella: è la mia vita.