Perché sì, a volte capita che per far nascere qualcosa ci sia di mezzo la morte. Capita che ci siano persone che, pur non essendoci fisicamente più, siano più presenti che mai. Con la loro energia, con quello che hanno dato e che continua a germogliare nel cuore di chi resta. , per tutti , era così. Se l’è portata via una malattia bastarda. Un male che non ha guardato in faccia al suo sorriso contagioso, ai suoi occhi pieni di vita.
Ma la vitalità, la generosità, il carisma di Emy non sono svaniti. Anzi. «Due giorni dopo la sua morte, lo scorso 6 giugno – racconta oggi il marito – è venuta spontaneamente tra amici, e colleghi l’idea di creare un’associazione in suo nome, e questo ha subito coinvolto tutti noi».
Così sono nati gli “Amici di Emy”, che il prossimo 2 dicembre al Tennis Club di Gallarate, città dove Emy viveva con Stefano e i loro figli Edoardo di 12 anni e Matilde di 14, metteranno in piedi il primo grande evento di raccolta fondi in nome proprio della splendida Emanuela. Una serata per 200 persone (prenotazioni fino al 30 novembre telefonando a Greta al 347 7097299 oppure direttamente alla Club House allo 0331 779600, costo della cena 30 euro), il cui ricavato sarà devoluto al reparto di oncologia pediatrica di Busto Arsizio ma anche un asilo di Capoverde caro ad Emy e alla Fondazione Ascoli. «Ma la nostra associazione non è nata solo per aiutare in ambito strettamente oncologico – spiega Stefano – Emy era sempre pronta a spendersi per gli altri, per tutti. Sceglieremo di volta in volta i progetti da sposare».
Un altruismo raro, quello di Emy. Frutto anche delle innumerevoli conoscenze ed amicizie di una vita in cui ha lavorato come barman nei locali milanesi prima e poi come addetta alle vendite nelle boutique Gucci di via Montenapoleone e Malpensa.
«È sempre stata contornata da molte amicizie, era una persona che dava l’anima per gli amici, un personaggio che calamitava montagne di persone con la sua energia, che gli altri acquisivano e che diventavano come una meravigliosa e benefica “droga” di cui non poter fare a meno» racconta Stefano.
Una solarità che nemmeno la malattia, comparsa per la prima volta nel 2005, aveva scalfito. Ricorda ancora il marito: «Scoprimmo il tumore alla fine della gravidanza di Edoardo, e lei scelse di rimandare gli esami fino a dopo il parto. Scoprimmo la verità tra Natale e Capodanno del 2005, la diagnosi fu atroce perché non era un cancro al seno ormonale ma uno dei più cattivi. Sono stati 12 anni di sofferenze, di cure invasive. E lei mai, mai una volta si è lamentata o ha trasmesso niente di negativo di sé, mai cercato di usare la sua malattia come mezzo per ricevere conforto dagli altri ma ha sempre e solo pensato a dare».
Una luce, anche in mezzo al buio. Una luce che non smetterà mai di brillare. Una luce che nessuno spegnerà mai, e che ora vive in chi l’ha conosciuta e continuerà, grazie anche e soprattutto alla beneficenza, a spandere la luminosità abbagliante di Emy in un mondo troppo ingiusto per far finta che vada bene così.