Quando “Senza nome” è sinonimo di qualità

Bizzozero -Compie 10 anni il ristorante di viale Borri. «Qui si viene per mangiare, ognuno ci mette le sue emozioni»

– Dieci anni “Senza Nome”. Ma è stato proprio quel nome bizzarro, che suona come un non nome perché è “Senza Nome”, a fare la fortuna del bar ristorante pizzeria del civico 311 di viale Borri.
«L’ho aperto 10 anni fa, quando sono arrivato in Italia da Berlino, dove avevo fatto esperienza nella ristorazione – racconta , il titolare dell’attività – Trovai il posto dove aprire il locale, poi si è imposta la necessità di trovargli un nome. In famiglia è iniziato un gran discutere: mia moglie proponeva un nome, mio figlio un altro, non si arrivava a capo di nulla. Allora ho preso la situazione in mano e ho deciso: il ristorante si sarebbe chiamato “Senza Nome”».

«Quella decisione mi ha dato un sacco di problemi fin da subito. Già prima dell’apertura, dovendo inserire le generalità del locale nei documenti, nella riga dedicata al nome compilavo “Senza Nome”. E così si creavano sempre dei grossi equivoci, perché gli uffici mi richiamavano per chiedermi: “Ma non ha ancora scelto il nome?” e io rispondevo: “Il ristorante si chiama Senza Nome, così come ho scritto”. Non poche persone si dimostravano perplesse e qualcuno provava a suggerirmi di cambiare idea».
Una credenza popolare, infatti, afferma che le cose che non hanno un nome sono destinate a non trovare un proprio spazio e ad avere sfortuna. Ma non è stato così per il ristorante di viale Borri che da subito ha iniziato a ingranare bene. Tanto che, se si va nei dintorni e si chiede “Cosa c’è che funziona da queste parti?”, la gente risponde senza tentennamenti “La ristorazione Senza Nome”.

La vicenda ha contorni letterari, che fanno pensare a “Tutti i nomi” di José Saramago, racconto in cui si parla del legame che c’è tra un nome e la sua identità. Ma Tirendi ha trovato un canale che crea un senso di appartenenza più forte dell’anagrafe: quello del gusto, dell’olfatto, o più in generale del cibo. «La gente viene per mangiare, non si fa problemi sul nome – dice Tirendi – Se torna vuol dire che si trova bene».

/> Anche sulla pizza, per esempio, metto il prosciutto crudo pregiato, mica la spalla. E se c’è da far la pasta, scelgo quella che al chilo costa di più. Per la tagliata prendo il filetto, non lo scamone. La bontà dei piatti va ricercata nelle materie prime. Poi ci si mette la fantasia del cuoco».
E per il futuro? Il ristorante “Senza Nome” un nome ce l’ha: . È il figlio di Tirendi, intenzionato a continuare il lavoro del padre e che si sta già dando da fare nel ristorante. Se le cose continueranno ad andar bene, sicuramente non sarà Gianluca a dare un nome al locale “Senza Nome”. Perché, come cavallo vincente non si cambia, così non bisogna ostinarsi a battezzare un senza nome. Tanto più se in quello spazio vuoto lasciato dall’assenza di un nome ognuno può mettere l’emozione che preferisce.