– Incidente probatorio fiume: oltre 14 ore con una sola piccola pausa per il pranzo. Davanti al gip ieri alle 9.30 c’erano tutte le parti coinvolte in quella che viene definita la svolta nell’omicidio di , la giovane studentessa di giurisprudenza varesina, scout e militante di CL, violentata e uccisa a 20 anni il 5 gennaio del 1987. In aula c’era il sostituto procuratore generale di Milano , che coordina le indagini, con la parte civile, , la madre di Lidia assistita dall’avvocato , e , 49 anni, di Brebbia, amico di Lidia, arrestato il 15 gennaio scorso per l’omicidio della ragazza 29 anni dopo il fatto.
La prima ad essere ascoltata è stata , in un’aula blindata piantonata da agenti della polizia di Stato che non lasciavano avvicinare nessuno. Nessuno dei testi ascoltati ha rilasciato dichiarazioni, anzi sono stati fatti passare dal retro del tribunale per non essere ripresi. Bianchi, ascoltata per tre ore, avrebbe confermato quando già contenuto nell’ordinanza. Sì quella era la grafia di Binda per lei, sì Binda e Lidia erano inseparabili in quel periodo, sì si frequentavano assiduamente.
E sì, Binda con lei andò al parco Mantegazza qualche giorno dopo il delitto e lì Binda gettò un sacchetto pesante.
Binda era tossicodipendente all’epoca, poteva essere droga. E la donna non ci fece caso. Oggi, però, quella dichiarazione confermata in incidente probatorio ha fatto scattare le ricerche dell’arma del delitto proprio in quel parco. Dopo di lei hanno testimoniato e , sorella di Lidia. Flaccadori organizzò la vacanza a Pragelato che Binda usò come alibi dichiarando di non ricordare il suo nome tra gli iscritti. Stefania era presente a quella vacanza sulla neve, e a sua volta ha dichiarato di non ricordare in alcun modo la presenza di Binda che sia lei che Lidia conoscevano in quanto frequentava gli ambienti di Gioventù Studentesca. Quindi è stata la volta di , all’epoca guida spirituale del gruppo, che ha confermato come Binda fosse intelligente e un ottimo studente.
Alle 19 è iniziato l’interrogatorio dell’altro teste chiave: , all’epoca amico fraterno di Binda che, tra le righe dell’ordinanza, viene indicato come colui che cambiò versione due volte nell’87 su cosa avesse fatto quel 5 gennaio per fornire un alibi a Binda. Nulla è trapelato sulle sue dichiarazioni andate avanti sino alle 21. Pare che don Sotgiu abbia spiegato come quelle due versioni fossero frutto della confusione, non certo della volontà di fornire un alibi a qualcuno. Infine , l’amica che Lidia andò a trovare in ospedale proprio quella sera all’ospedale di Cittiglio, dove era stata ricoverata in seguito a un incidente stradale. Lidia andò effettivamente da lei quella sera. Durante la visita la ragazza non avrebbe accennato al fatto di doversi incontrare con qualcuno subito dopo.
Per gli inquirenti Lidia incontrò il suo assassino proprio nel parcheggio dell’ospedale. Forse si accostò con la sua Panda a una grossa auto chiara, come la Fiat 131 di Binda. Fece salire qualcuno e gli cedette il volante. Era lui?