Eravamo tutti ragazzini, noi nati nei primi Anni 80. Era il 1996, 1.9.9.6. Eravamo adolescenti, sospesi in quel limbo tra ribellione e bisogno di uniformarsi alla massa. Eravamo lì, con le cuffiette che pompavano a volume da denuncia dai walkman, con le autoradio degli amici più grandi e quelle discoteche che spesso vedevamo col cannocchiale. E un giorno risuonò quella melodia, destinata a cambiare per sempre il mondo di un certo genere musicale e forse della musica in generale.
Era Children di Robert Miles. Quel Robert Miles, all’anagrafe Roberto Concina, che mercoledì scorso, in silenzio a differenza dello splendido casino che ha generato per anni, ci ha lasciato all’età di 47 anni. E tra quegli adolescenti del 1996 c’era anche Ale Lippi, oggi collaboratore di Albertino a Radio Deejay e giornalista per Dj Mag Italia, testata che per prima alle prime luci dell’alba del 10 maggio ha dato la triste notizia al mondo.
Nel 1996 avevo 13 anni ma ancora ricordo quando sentii suonare Children per la prima volta. Era un disco che ti proiettava in un viaggio etereo, con quella melodia che non poteva non entrarti in testa. Ancora oggi pensarci mi suscita emozione, mi trasporta diretto a quelle domeniche pomeriggio in cui si entrava per la prima volta in discoteca. Alle festicciole tra amici, in cui immancabilmente a un certo punto quel pezzo sapevi che sarebbe partito.
Perché cambiò le regole del gioco con uno schiocco di dita. Roberto fece una cosa molto semplice, ma completamente innovativa: tolse le parole da un pezzo. Prese quattro accordi di piano, qualche arpeggio e ne fece uscire una melodia unica. Che sconvolse e ipnotizzò tutti. Creando quel genere che hanno denominato trance, progressive, dream pop o dream house. Ecco: dream, sogno, è la parola più azzeccata. E non a caso quel disco, Dreamland, diventò una pietra miliare. Prova ne è che un pezzo dance fu tra i più venduti quell’anno. Vi dirò di più: la hit parade dell’anno 1996 vede al primo posto Gangsta’s Paradise di Coolio, al secondo posto One and One sempre di Robert Miles e “solo” al terzo Children. Questo per dire che il ciclone scatenato sconvolse tutto. E Children ancora oggi mantiene il record di settimane di fila al primo posto della Deejay Parade.
È davvero incredibile pensare come negli Anni 90 l’Italia producesse il 90 per cento della musica dance mondiale. Progetti che nascevano tra Milano, Bergamo e Brescia e in un attimo suonavano nei club di tutto il globo. Cosa è successo dopo? Una serie infinita di cose. Diciamo che non siamo stati capaci, complici una lunga serie di fattori, di trasformare quella passione in un lavoro serio. Avevamo inventato qualcosa e non siamo stati capaci di prenderne il bello e farne qualcosa di veramente serio, come invece il resto del mondo ha fatto. Non siamo riusciti, in questo senso, a fare il salto di qualità, a riaggiornarci. È come se ci fossimo talmente ubriacati da restare tramortiti. Ma sono sicuro che è solo una fase transitoria… la nostra golden age tornerà.
Io credo che ogni dj dopo di lui abbia dentro di sè qualcosa di Roberto. Come tutte le rivoluzioni, ha lasciato il suo seme a germogliare in chi è venuto dopo. Potrei citare David Guetta, fautore di un altro grande cambio di passo nell’ambito soprattutto commerciale. O Skrillex, Diplo. O ancora Avicii, che pur con una produzione brevissima ha cambiato le regole portando la dance nel mondo pop. ma anchea Calvin Harris. Sta di fatto che ancora oggi pezzi come Children o Fable suonano a Ibiza durante serate che di commerciale non hanno proprio niente. Eppure, quelle canzoni accendono sempre la pista.
Alla fine della stagione mancano solo tre puntate e sono già pronte. Ripartiremo a settembre e… chissà, sarebbe bello ripartire proprio raccontando la storia di Roberto. Una storia che, senza dubbio, merita e meriterà sempre di essere raccontata.