Dobbiamo pensare sempre alla felicità: se lei – qualche volta – si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei. Fino all’ultimo giorno della nostra vita». non aveva certo in mente la pallacanestro mentre catturava il suo pubblico con queste parole. Di mezzo c’era e c’è la vita. Tutta. Cos’è il basket, però, se non una parte di esistenza, se non un carburante per l’anima dell’appassionato? Bello credere, allora, che possa seguire la regola generale: la felicità va cercata. E fiutata, anche nei ricordi.
Da Isaac a Sakota, passando per Meneghin, Pozzecco e Santiago: sprazzi di felicità colorati di bianco e di rosso, momenti unici che hanno costruito l’identità dei tifosi, pezzi – pescati qui e là – di una strada che ha sempre condotto tutti a casa. Quello che segue è il frutto di una libera chiacchierata con , voce e penna che da tanto tempo tratteggia i contorni dell’epopea cestistica varesina. Ad emozione corrisponde commento: si va nel passato recente,
solo per un’indispensabile limitazione di campo; si parte da lontano, tuttavia, perché il primo fotogramma è già un ritratto.
Joe Isaac balla sulla Tracer battuta, ultima giornata 86/87: «Sconfiggere Milano significava vincere, dopo anni, la regular season – racconta Franzi – Dietro al balletto del nostro allenatore c’era la gioia per l’obbiettivo raggiunto e quella per il gioco brillante che tale squadra esprimeva, estrinsecate da un personaggio senza pari». Tra gli spettatori di Masnago, quel giorno, sedeva anche un adolescente che avrebbe fatto parlare di sé: «lo ricorda spesso: quella partita gli è rimasta nel cuore». Già Meneghin, il campo nel suo destino: un canestro allo scadere – 9 maggio 1998 – che smonta la Virtus Bologna al Pala Malaguti, gara 3 di semifinale e bicchieri di vino rosso ingurgitati alla fiera del formaggio di Parma durante il pre-partita. Una recensione di quel Lambrusco la può fare anche Pozzecco, 33 punti la sera stessa.
Difficile scegliere, peraltro, se si pensa al Menego: «Mi piace ricordare la sua difesa, l’anno dopo in Eurolega, su contro l’Efes – prosegue Franzi – Da manuale: il campione macedone non capiva più nulla. Annullato». Se si inizia con Meneghin e Pozzecco non si finisce più. Ti fanno venire in mente addirittura una stoppata di , imperioso su Kidd a violare il PalaSharp ed a tracciare una sorta di via. Stagione 96/97: «Gesto tecnico a parte, quella giocata fu il simbolo della voglia di riscatto di una Varese nuova e piena di future sorprese. Riscatto che, in quell’istante, è passato dalle mani di un ragazzo brasiliano, proveniente dai bassifondi di Campinas».
La felicità biancorossa ha 4 numeri: 1999. C’è l’imbarazzo della scelta. Si va con un inedito: Pozzecco subisce un antisportivo a chiudere la contesa contro Cantù, il Pianella esplode dalla rabbia. Spiace, ma quest’anno siamo più forti noi. Altrimenti si va sul classico, extra-parquet: «Quell’11 maggio ritornai il prima possibile da Como, dove lavoravo. Indimenticabili le bandiere esposte in viale Valganna e perfino presso la chiesa di Biumo. E che dire dei 35 pullman verso Bologna, fotografati dal ponte di Castronno sull’autostrada, in un’istantanea che ha fatto epoca?». Niente, non va aggiunto altro. Felicità è arrivare ad un passo dal battere i campioni Nba. Santiago schiaccia in testa a Duncan, Vescovi fluidifica in sottomano umiliando la difesa schierata degli Spurs, il Poz bacia con gli assist i compagni di fronte al gotha del basket: «Con lo stimolo giusto, in un ambiente carico, giocando con leggerezza, per un attimo si è ritrovata la magia dell’anno prima. Penso a Santiago: non ha ottenuto la carriera che meritava. Veloce, braccia smisurate, uno dei migliori centri passati da Varese. Bulgheroni lo prese vedendolo fare la contesa in un’amichevole con la sua nazionale».
Di palo in frasca, arrivando agli anni bui, quelli dell’astinenza: la felicità è ovunque. La cerchiamo nei tiri, nell’estemporaneità. Quelli contro Milano sono una predilezione. Playoff 2003: l’impalpabile Rusty La Rue ammazza le Scarpette Rosse da tre, all’ultimo secondo. va in paradiso per l’ennesima volta e con lui chi seguì quella squadra con poche speranze nel bagagliaio. Playoff 2007: Varese va sotto 0-2 nei quarti. , volato in patria per la morte di quella nonna che lo aveva cresciuto come un figlio, dagli Usa manda un messaggio: «Sbancate il Forum, voglio tornare a sentire l’urlo di Masnago». Detto fatto: Holland si mangia Gallinari e tutta Milano, si torna a Varese. Ultimo quarto, gara 4: lo stesso Keys infila la bomba del più 1 dopo un recupero incredibile nel punteggio, facendo battere il cuore di 5000 persone all’unisono con il suo. Pelle d’oca. Che poi si scateni Schultze e si perda, rimane un particolare. «Già Keys, una delle tante meteore apprezzate meno del dovuto – commenta Antonio – E penso anche a Becirovic, fenomeno arrivato dopo un infortunio ed infortunatosi di nuovo, contro Reggio Emilia, per troppa generosità. Voleva fare contento Ghiacci».
Senza alcuna opportunità temporale, ci buttiamo verso la lega2. Verso: «Bomba da sette metri a riacciuffare Jesi, in casa. Simbolo del carattere che aveva quella squadra e del buon lavoro di Pillastrini». Alla fine arriva il dardo di Dusan: «In quel canestro ci sono state due cose: il fatto di essere figlio di un allenatore e quindi di avere una meticolosità tecnica fuori dal comune, fatta di gesti ripetuti e di anni di lavoro, ed il suo carattere da serbo, con la capacità di trasformare l’emotività in qualcosa di positivo». Quel giorno anche da Pescara fu capace di emozionare. Sipario. Questo pezzo non ha alcuna logica: a parziale scusante nemmeno la felicità, spesso, ne ha.