Un gol che non si dimentica: 10 gennaio 2010, stadio Franco Ossola, Varese-Como (l’ultimo giocato) finisce 1-0, decide Stefano Del Sante. Un giocatore che non si dimentica: amato dai tifosi per il suo impegno, entusiasmo, attaccamento alla maglia biancorossa. Una maglia che non si dimentica: e Delsa non l’ha fatto, mai, nonostante il calcio l’abbia portato via di qui ormai da diverse stagioni. Ma tornare con la memoria a quei tempi è sempre motivo di gioia, orgoglio. Emozione.
Una sfida diversa dalle altre, che fa storia a sé. Attesissima, da città e tifosi. Noi la giocavamo con grinta e voglia di vincere, per far loro un regalo: il derby si gioca per i tifosi.
L’anno prima segnai 15 gol, fu un’ottima stagione, e contro il Como feci gol e assist a Grossi. Quell’anno invece fu particolare, molto difficile: non riuscivo a segnare da un po’ e i tifosi vedevano quanto soffrivo. Così, fu una felicità doppia: per me, e per quello che stavo passando; e per loro, a cui regalai un altro gol nel derby.
Certo, e con grande piacere. Presi palla sul lato dell’area e con la mia testardaggine cercai spazio, superando due difensori in dribbling. Poi, quel tiro a giro sul secondo palo: un bel gol. Infine, l’esultanza: ho impressa nella mente la foto della mia corsa verso la panchina, con Buzzegoli braccia al cielo dietro di me…
Sì. Eravamo ultimi, Sannino arrivò di giovedì, la partita dopo avremmo incontrato l’Alessandria, altra sfida molto sentita. Ci disse “state tranquilli, vi ho visto giocare, vinceremo il campionato”; noi ci siamo guardati e ci siamo detti: “è pazzo”. Invece… Una stagione e una scalata pazzesca, miglior attacco e terza miglior difesa. Un’altra stagione strepitosa l’anno dopo, vittoria ai playoff e Serie B: due anni importanti per tutti, me compreso, che a Varese ho vissuto tre anni e mezzo indimenticabili.
Una partita del genere merita una grande cornice. E il Varese, dopo quello che è successo, merita partite e giornate così. Spero sia uno spettacolo, in campo e fuori.
Sente ancora tante persone di Varese? Come si spiega questo affetto a distanza di anni?
Sì, ho ancora tanti amici lì. E quando lo racconto, alcuni non ci credono. Ma può capitare, se sei una persona prima di un calciatore: io sono contento di essermi fatto conoscere per quello che sono. Mi sono sempre comportato bene e ho dato tutto per la maglia: questo la gente se lo ricorda. E così è rimasto tanto affetto, reciproco.
Una partita che si prepara da sola: bisogna andare in campo e far vedere cos’è il Varese. Bisogna dare tutto per i tifosi. Io lo affrontavo così: sperando in tutti i modi di far gol per vedere il Franco Ossola esplodere in un boato.
Con le giuste condizioni sì, io sarei tornato. Penso di poter fare ancora per tanti anni la Serie C: mai dire mai…
Gli ultimi sei mesi sono stati un disastro: ad Ancona ho vissuto retrocessione e fallimento. Una mazzata. Così mi sono trovato senza squadra, sono stato a Coverciano ad allenarmi con gli svincolati e ho preso il patentino da allenatore. Poi è arrivata la chiamata da Lucca: una grande piazza, la scelta giusta per rilanciarmi. Sono carico, spero vada nel migliore dei modi.
Fosse per me, anche domani. Purtroppo per impegni è difficile. Ma appena potrò, sarò li con voi: devo venire a trovare tanti amici, che se non passo mi ammazzano… (ride)
Conosco la città, la piazza, i tifosi, lì ho tanti amici: quegli anni sono stati i più belli e non posso dimenticarli. E la maglia biancorossa me la vedo sempre addosso…