«Quel post non è stato scritto da Stefano Binda. Il fatto è assolutamente lampante e dimostrabile. Volerlo mettere agli atti non ha alcuna spiegazione. Se non forse la volontà di attribuire a Stefano Binda la paternità di uno scritto non suo. E se è così chiediamoci il perché».
Patrizia Esposito, codifensore di Binda con Sergio Martelli, mostra le prove di ciò che sostiene. Binda, 49 anni, di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia Macchi, uccisa nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 fu arrestato il 15 gennaio 2016 con l’accusa di essere l’assassino di Lidia ed è attualmente imputato dell’assassinio del giovane studentessa varesina davanti alla corte d’assise presieduta da Orazio Muscato.
Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi, ha chiesto al termine dell’ultima udienza di mettere agli atti un post pubblicato sul profilo Facebook di Binda il 28 febbraio 2014 (prima di essere indagato) giorno del compleanno di Lidia. In particolare i versi incriminati recitano: “Zeus amava quella ragazza di nome Io, avrebbe fatto qualsiasi cosa per averla. Le propose un bosco fatto delle cose più belle, in cui solo lui l’avrebbe trovata e amata.Io, sacerdotessa di Era,
incurante delle conseguenze di un rifiuto, prese in mano la sua sorte e decise di scappare lontano, e fu quella la sua disgrazia. Era, moglie di Zeus, scoprì nella calca dell’inseguimento il marito intento a correre dietro ai passi della bella sacerdotessa. Così il più grande di tutti gli dèi, che è anche uomo, nascose Io alla moglie con un incantesimo, trasformandola in una candida giovenca. La moglie Era, accortasi del sortilegio, inviò un immenso insetto a tormentare e inseguire la candida quadrupede”.
«Peccato – dice Esposito – che quei versi rientrano in un articolo molto più ampio, da titolo Bisanzio e altre storie, che parla di tutt’altro rispetto a omicidi o fanciulle assassinate, pubblicato il 25 febbraio sul siti dell’associazione Magre Sponde di cui Binda fa parte».
Non solo: «Binda non è l’autore dell’articolo firmato giornipersi, mentre la sigla di Binda, registrata sul sito e tracciabile era IdK – spiega Esposito – l’articolo, che è tuttora visibile sul sito in modo che chiunque possa verificare che i contenuti parlano di tutt’altro e non si limitano a quei semplici versi, fu pubblicato il 25 febbraio. Binda si limitò a condividerlo tre giorni dopo, nella sua interezza, con il commento: è l’articolo più bello che sia mai stato pubblicato qui».
Per i difensori dunque «non c’è alcun rimando a Lidia ne c’è nulla che può essere collegabile al fatto che fosse il compleanno della ragazza».
Una casualità?
«Assolutamente sì – conclude Esposito – tanto che in aula non è stato letto tutto il pezzo ma ne è stato estrapolato un piccolo brano».
Quella dei simbolismi di Binda è tematica affrontata dall’accusa. Come l’ostia riportata al fondo di alcuni scritti di Binda «diversa – conclude Esposito – da quella tracciata in fondo alla lettera “In morte di un’amica”. Basta mettere a confronto i disegni per rendersene conto».