Quella piazza piena chiede solo una cosa. Regalateci un sogno

L’editoriale del nostro Francesco Caielli

Questa città ha voglia di vincere qualcosa: ha voglia – anzi: bisogno – di festeggiare e sentirsi ancora la capitale del basket. E chissenefrega se per farlo deve dirsi una mezza bugia. Ieri piazza Monte Grappa era qualcosa di speciale e contagioso: alle finestre della nostra redazione arrivavano i boati, i cori, le urla. Arrivava il sangue pompato da una nuova generazione di tifosi che magari l’11 maggio del 1999 erano troppo piccoli e non si ricordano nulla.

Ma sanno perfettamente, perché sono nati qui e perché qualcuno gliel’ha spiegato, che tra Varese e il basket c’è una storia speciale che ora ha fame di vittoria. Quella che domani Varese proverà a vincere non è l’Eurolega, non è il campionato e non è nemmeno la Coppa Italia. Però si scende in piazza lo stesso, però i caroselli che si sentivano in centro dopo la vittoria hanno superato – per numero e per intensità – quelli che domenica scorsa hanno celebrato il trentaduesimo scudetto della Juventus.
Siamo scesi anche noi, con il cuore e la mente a Chalon ma con i piedi e il corpo in piazza: e a guardarsi attorno non sembrava vero. Tanta, tantissima gente: i tifosi più giovani, sì, ma anche quelli che qualche vittoria l’hanno già vista ma nemmeno gli passa per la mente di mettersi a fare gli schizzinosi. Il sindaco Attilio Fontana che sta per chiudere il suo mandato e tornare a essere un cittadino normale, ma questa vittoria se la meriterebbe. Perché in tante interviste ci ha confidato che il suo rimpianto più grande è stato quello di non aver mai festeggiato nulla da sindaco, e adesso ha la possibilità di salutare tutti con questa coppa.
E, ci piace dirlo, in piazza c’era anche Flavio Pandolfo (candidato sindaco di Varese Futura) e c’era per il piacere di esserci, non per farsi vedere da fotografi e telecamere: quando ci ha visto in mezzo alla folla ci ha rincorso e ci ha ficcato in testa il suo cappellino biancorosso e la sua gioia era sincera. Bravo, Flavio.
Per il momento non ci interessa sapere come andrà domani: ne pareremo più avanti, ne parleremo nelle altre pagine del giornale. Per il momento ci piace parlare di questa città, di questa gente, che sta chiedendo di poter sognare. Immaginatevi, ed è alla società che stiamo parlando – cosa succederebbe se la squadra tra un anno o due tornasse a lottare per qualcosa di grande. Provarci, provarci per davvero, è un dovere: perché la piazza di ieri vi sta chiedendo questo, nient’altro che questo. E ora, veniamo a noi. Almeno tre persone, ieri sera, vedendoci in piazza ci hanno preso bonariamente in giro: «Salti sul carro adesso, Caielli?».Non saltiamo su nessun carro, signore e signori: perché sul carro della Pallacanestro Varese siamo saliti portati in spalla dal papà un giorno del 1983 (prima volta a Masnago) e non siamo più scesi. L’abbiamo detto e lo ripetiamo ancora, anche a beneficio di chi proprio non ce la fa a capire. Quando Varese perde siamo tristi e ci dispiace davvero. Quando Varese vince siamo contenti e avremmo voglia di festeggiare, sempre, pure in amichevole. Il caso, un po’ di fortuna e la tenacia nel rincorrere i sogni ci hanno portato a fare il lavoro più bello del mondo: scrivere di Varese. Ma nessuno pensi che scrivere un pezzo come quello scritto dopo il disastro di Pesaro sia una cosa piacevole. È molto più bello, fidatevi, scrivere articoli come questo. Ora, e sempre: forza Varese.