Quella tavola senza luci in cui mostriamo ciò che siamo

L’editoriale

Di cene al buio ne ho servite tante. La sensazione è pazzesca: si invertono completamente i ruoli! Chi di solito mi accompagna e mi dà indicazioni sul mondo circostante, diventa l’accompagnato, quasi l’assistito. Eh sì perché chi vede, raramente capisce il senso di fidarsi ciecamente. Per me invece è praticamente la quotidianità! Molti dei rapporti che stringo si basano sulla fiducia e sul rispetto reciproco proprio perché, venendo meno questi presupposti, anche la sensazione di sicurezza sparisce.

Spegnendo una luce la dinamica è completamente ribaltata: la persona che vede deve totalmente affidarsi al cameriere cieco seguendone attentamente i consigli. Una dinamica fuori moda. La fiducia si dona sempre meno mentre in questo caso bisogna darne ad una persona che oltretutto nemmeno vedi in faccia. Nel buio, cari amici, siamo tutti nella stessa barca, senza pregiudizi, gioiosamente costretti a dar fiducia. Le dinamiche durante il pasto sono sempre esilaranti e servono per sdrammatizzare la tensione che il buio, col suo arrivo, crea in ognuno di noi. La tendenza generale è quella di urlare perché, non vedendo il proprio interlocutore, si pensa che lui non ci stia ascoltando e quindi che faccio? Urlo! Dopo un po’ di tempo il bon ton viene meno e, stanchi di faticare per infilzare un boccone e poi trovarsi ad accogliere in bocca la forchetta tristemente vuota, entrano in gioco le mani! La tavola di chi vede è spesso influenzata dalle immagini, dall’apparire. La nostra, al buio, rovescia completamente la situazione: l’unico modo per conoscersi è parlare, mettendo in tavola ciò che si è.
*Campione di sci nautico, non vedente