Ragazzini invisibili e attaccati alla vita

«La disabilità grave di un figlio, probabilmente, può capirla solo chi ci finisce dentro». L’editoriale del nostro Francesco Caielli

Invisibili per tutti, tranne che per chi li ama. Silenziosi per chiunque, tranne per chi ha imparato ad ascoltarli. Queste sono le storie, bellissime e maledette, di chi ha come casa una stanza d’ospedale e non conosce il significato della parola domani.
Federico e suo papà Giorgio, ma anche Dado e sua mamma Doriana e tutti quelli a cui il destino ha riservato una vita diversa. Una realtà sconosciuta e sottaciuta, bambini davanti ai quali è

più semplice voltare la testa dall’altra parte. Una realtà capace di dare un significato tutto nuovo al concetto di amore per come lo conosciamo noi e di ribaltare le convinzioni.
La disabilità grave di un figlio è una condizione difficile da spiegare perché probabilmente può capirla solo chi ci finisce dentro: noi possiamo soltanto permetterci di ascoltarla e, magari, imparare qualcosa. No, niente retorica e nessuna frase fatta: non c’è poesia in questo tipo di sofferenza e nemmeno c’è la possibilità di ricamarci sopra dei racconti di quelli che emozionano.
Lì dentro, in quei ragazzi che i loro genitori chiameranno per sempre bambini, facciamo fatica a vedere qualcosa che non sia un insensato, morboso, instancabile attaccamento alla vita. Nient’altro che quello: amore per qualcosa che noi da fuori fatichiamo a definire esistenza.
E non è che sia un insegnamento da portarci a casa, non arriviamo a tanto. Semplicemente, ci piacerebbe anche a noi, ogni tanto, voler bene al sole che è sorto anche stavolta come fanno Federico e i suoi amici. Contenti, semplicemente, di esserci.