ROMA – Il pagamento del canone Rai risulta oggi anacronistico e ingiusto, in quanto è dovuto per la semplice detenzione di apparecchi atti o adattabili a ricevere un segnale. Per questi motivi, anche in previsione dell’avanza mento della tecnologia e dell’inevitabile passaggio di canali sulla piattaforma web, è prevista una progressiva riduzione del canone con un taglio a cadenza annuale del 20 per cento rispetto all’importo oggi previsto, fino al suo totale azzeramento in cinque anni”. Lo scrive il deputato della Lega e segretario della Commissione di Vigilanza Rai, Stefano Candiani, nella premessa della proposta di legge ‘Modifiche al testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, in materia di disciplina e organizzazione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale’ a sua prima firma.
“Il fabbisogno finanziario per la gestione della fornitura del servizio pubblico è coperto attraverso la revisione del sistema delle imposte indirette, nonché dai proventi derivanti dalla pubblicità televisiva. Inoltre, a proposito del canone, viene previsto fin da subito che, laddove sussista ancora oggi l’impossibilità di accesso alla rete o l’impossibilità di fruizione del servizio da parte de gli utenti per motivi estranei alla propria volontà, il pagamento del canone di abbonamento non è dovuto. La presente proposta di legge si propone l’ambizioso obiettivo di intervenire con modifiche puntuali per una riforma del finanziamento dell’azienda Rai-Radiotelevisione italiana Spa che garantisca l’effettiva fruizione da parte della cittadinanza di un servizio pubblico di qualità”, aggiunge.
“Aumentare di un punto percentuale la pubblicità della TV di Stato, argomenta Candiani, garantirebbe una raccolta di quasi 600 milioni che darebbero all’azienda la possibilità di una maggiore autonomia sul mercato”. La presente proposta di legge conta due articoli e prevede, in particolare, l’aumento dei limiti di affollamento del tetto pubblicitario dell’azienda. Nel 2022, si osserva nella premessa alla norma, “gli spot valevano complessivamente circa 500 milioni e un aumento di un punto percentuale porterebbe la cifra complessiva raccolta a poco meno di 600 milioni, dando all’azienda la possibilità di una maggiore autonomia sul mercato”.