Rolando Del Torchio, l’ex missionario di Angera rapito in autunno nelle Filippine e liberato nelle scorse settimane, desidera uscire di scena e tornare alla sua vita normale. In Asia. Ieri, dopo la messa, era ad Angera per incontrare in sala consiliare la popolazione che nei mesi difficili del rapimento, avvenuto ad opera degli islamisiti di Abu Sayyaf, lo hanno sostenuto con affetto e trepidazione.
Oggi voglio concludere con gli incontri istituzionali e prendermi un periodo di vacanza. Attualmente sto un poco ad Angera e un poco da altri parenti, ma intendo recarmi in montagna per qualche settimana.
A fine luglio tornerò nelle Filippine. La mia vita è laggiù. Ho bisogno di lavorare.
Certo, ho qualche timore. Ma, almeno per i primi tempi, vivrò sotto protezione. Cambierò città e ricomincerò da capo.
Funziona benissimo. L’ho lasciato nelle mani dei miei collaboratori e so che stanno portando avanti questo progetto di aiuto. Nel locale lavorano ragazze madri e soggetti in difficoltà e sono molto orgoglioso della loro capacità di continuare la mia opera.
Il giorno in cui fui rapito nel mio locale cercarono di portare via anche due clienti. Ma i rapitori non vi riuscirono. Quando mi condussero nel luogo di prigionia nella giungla vi trovai altri ostaggi: tre uomini canadesi più la moglie filippina di uno di questi e un olandes . Purtroppo quest’uomo è stato ucciso il 25 aprile, il giorno della mia liberazione, dopo quattro anni di prigionia.
Il mio rapimento è una faccenda complicata. Non è stato un rapimento ai fini di riscatto: infatti non mi è mai stato chiesto di chiamare l’ambasciata italiana. Sono stato fatto prigioniero a causa del mio passato missionario. I guerriglieri che mi hanno catturato credevano fossi ancora un sacerdote. La presenza missionaria nelle Filippine dà molto fastidio. Gli islamici considerano loro l’isola di Mindanao e pertanto si sentono disturbati dai cattolici, che costituiscono una minaccia per l’Islam. Rapire un cattolico costituisce un segno di forza per l’Islam: una dimostrazione ai non musulmani di potere.
No, il Governo italiano e quello delle Filippine non pagano riscatti. Le trattative sono state fitte e sono durate sei mesi. Molti si sono mossi per agevolare il mio rilascio, anche personalità islamiche. Qualcosa infine è stato pagato: da me personalmente e da alcuni miei amici. Una cifra minima, rispetto a quanto avrebbero potuto chiedere ad un Governo.
Se il Governo canadese non soddisferà le richieste dei guerriglieri entro il termine del 13 giugno, posto come ultimatum, saranno uccisi.
Sto affrontando quello che i medici chiamano stress post traumatico. Ci devo convivere. La mia vita precedente è finita nel momento in cui mi hanno rapito. Ora – dopo questo miracolo della mia liberazione – dovrò iniziare una seconda vita in una nuova città. Sono contento. Sono ancora vivo. Per quattro mesi ho pensato che non ce l’avrei fatta. Ma ho vinto sui 500 guerriglieri armati che mi hanno tenuto prigioniero. Oggi sto vivendo la mia ‘ricostruzione: tornerò e affronterò luoghi e situazioni. Sono emozionato per il dono di vivere ancora una volta. Dovevo morire. Mi sono preparato a questo negli ultimi mesi e ho conseguito – nonostante il dolore fortissimo e l’angoscia – anche momenti di pace. Ma sono qui. Grazie a Dio.