ROMA – Complessivamente, secondo l’ultima audizione parlamentare del Comandante generale delle fiamme gialle, Andrea De Gennaro, sono state 53.751 le persone denunciate penalmente dalla Gdf alle Procure della Repubblica e segnalate all’Istituto nazionale di previdenza sociale per indebita richiesta o percezione del Reddito di cittadinanza. Alla commissione Finanze del Senato ha parlato il 5 marzo 2024 di contributi illeciti per “oltre 581 milioni di euro” 2019 e 2023.
Il 31 dicembre dello scorso anno è la data ultima per perseguire la “responsabilità penale” di chi ha percepito l’assegno. La cronaca passata e recente racconta di operazioni ancora in corso: nella provincia di Foggia 63 persone sono state denunciate e segnalate all’Inps il 4 maggio per 691mila euro di percezioni indebite legate alla “residenza effettiva” oltre a “composizione del nucleo familiare”, lavoro nero e altre violazioni. Un’intera famiglia nel Gargano. A Tarano 20 denunce il 30 aprile per 254mila euro.
Nel Varesotto inchiesta su oltre 5 milioni di euro di sussidi erogati o ancora da versare per 646 persone denunciate da spartirsi fra le Procure di Varese e Busto Arsizio. Il dolo di chi si è visto tolto il reddito prima dello scadere dei 18 mesi previsti e chieste indietro le somme già ottenute che, tuttavia, nelle aule di giustizia fatica ad essere dimostrato quando riguarda le dichiarazioni di residenza. Ad esempio quella di un 39enne nigeriano, arrivato 8 anni fa in una cittadina industriale del profondo Veneto. Ha chiesto e ottenuto in totale 4.211,35 euro di rdc. A processo ha spiegato di aver fatto la domanda telefonicamente ad un operatore del Caf. Che gli ha chiesto l’Isee e lo Spid ma non ha fornito alcuna “indicazione circa il requisito della residenza”. Il “ragionevole dubbio” è sufficiente per la giudice Maria Rosa Barbieri per mandarlo assolto. Dubbio che si somma alle “difficoltà linguistiche” nella comprensione dei “requisiti”. “Sempre ammesso che qualcuno glieli abbia spiegati”, chiosa il tribunale. Anche perché la Procura di Venezia le indagini sulla “raccolta della dichiarazione” poi risultata falsa non le ha proprie fatte.
A Verbania sono stati gli stessi pubblici ministeri a chiedere di emettere sentenza di non doversi procedere nei confronti di una donna accusata delle stesso reato, in udienza preliminare. Per la gup Annalisa Palomba “il fatto non costituisce reato” perché “l’imputata non aveva compreso la portata della dichiarazione” e “autonomamente” ha chiesto la rinuncia al reddito nell’ottobre 2021. Con commento finale dedicato ai tempi e la mole di lavoro di lavoro nella giustizia: anche se la donna fosse stata mandata a processo “non vi sono ragionevoli probabilità di condanna”. Prima della riforma Cartabia erano sufficienti gli elementi “idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, ora non più.