Della magia del basket e altri racconti. L’amore per Sacchetti, l’ammirazione per Menetti e le sue lezioni di pallacanestro animate sul parquet da dieci ballerini in braghe corte e canotta. Poi gli arbitri, il pubblico, la tensione. Tutto trova una sintesi nella parola pathos, il vero surplus delle “finals” tricolori, caratteristica capace di stregare completamente anche gli appassionati della Città Giardino. Anche in contumacia Varese.
O forse a maggior ragione: con la religione in campo non si ragiona, si prega; in tutti gli altri casi ci si gode lo spettacolo. Abbiamo sentito le impressioni dei tifosi vip, degli esperti, degli uomini che – grazie alla loro storia e alla loro competenza – sono in grado di scrivere la didascalia delle emozioni che l’ultimo atto sta regalando a getto continuo.
Le opinioni sono diversificate, le impressioni e i giudizi pure, solo una piccola costante emerge all’ombra del Sacro Monte: il Meo, qui, rimane sempre il Meo.
Innanzitutto per il primo tifoso : «Sono affezionato a lui e quindi non posso far altro che parteggiare per Sassari. E poi, diciamola tutta, Sacchetti ha anche un altro merito: ha eliminato Milano». Il sindaco di Varese dà anche un giudizio sullo spettacolo: «Finora ci sono state partite di grande intensità, sebbene non proprio belle dal punto di vista tecnico. Chi vincerà alla fine? Non lo dico, spero e basta».
Scrivi del Gigante di Altamura e l’associazione mentale arriva fino a . Perché è suo amico, perché è stato un suo giocatore, perché «il Meo si è rotto il ginocchio durante una finale».
Il proprietario dei Roosters campioni d’Italia nell’anno di grazia 1999, però, separa cuore e cervello: «Col primo, e per tutte le ragioni di cui sopra, tifo Meo e mi auguro vinca lui. Però non mi piace come gioca Sassari: sono poco squadra, hanno giocatori di enorme talento che provano a risolvere le partite da soli. La colpa non è di Sacchetti, cui è addebitabile solamente una corresponsabilità: non aver trovato un playmaker vero. Dyson e Sosa non lo sono per nulla».
/>Per questo la razionalità lo spinge sulla via Emilia: «Reggio è una squadra che vince facendo girare il pallone, che alterna le difese, che non tira solo da fuori, che gioca il basket come lo intendo io. Ha meno campioni, gli unici sono forse Kaukenas e Della Valle, ma gioca con l’anima». Chi la spunterà? «Chi riuscirà a trovare la giocata vincente nel momento giusto. Sassari ha dimostrato che con il semplice talento può risolvere la contesa: è successo anche in gara6». Anche il grande parte con i distinguo: «Prendiamo quello che c’è di buono, dividendolo da quello che non lo è. I supplementari, il fatto che si sia arrivati a gara7, le partite tirate sono un vero bene per la nostra pallacanestro. L’aspetto tecnico, invece, mi lascia un po’ perplesso».
Perché? «Ho visto fare cose un po’ così, tipo l’attacco della Dinamo alla zona della Reggiana: non ci sono movimenti, né tagli, né penetrazioni, solo il tiro da fuori».
Anche qui: il sentimento dice Meo, l’ammirazione però è per Reggio: «Che ha cercato di costruire le sue fortune sugli italiani ed è stata la prima a farlo. I suoi leader sono Kaukenas e Lavrinovic, ma sta emergendo anche un Polonara in netto miglioramento. L’ex giocatore di Varese si sta dimostrando sempre più solido e affidabile e ha costruito un ottimo tiro da fuori. I favoriti? Per me proprio gli emiliani, a meno che Sassari non riesca improvvisamente a trovare un antidoto alla zona della Grissin Bon».
L’amore, insomma, in nessun caso impedisce il ragionamento lucido. Per la chiosa ci affidiamo alla disamina – dotata di completezza e neutralità – di : «Si tratta di una finale bellissima, come non si vedeva da tempo. Abbiamo davanti due formazioni totalmente diverse: da una parte c’è la “nazionale italiana”, che gioca una buona pallacanestro e difende; dall’altra cinque “scappati di casa” che Sacchetti sta facendo incredibilmente coesistere».
«Penso che vada fatto un grande plauso a entrambi gli allenatori, degni rappresentanti della scuola italiana – aggiunge – Menetti è un insegnante di pallacanestro: guardate come ha fatto rendere Pini, non un campione assoluto, in gara6. Sacchetti invece è un gestore in una squadra di individualisti, e ha una grande gavetta alle spalle».
Sul piatto dei più di questa saga infinita ci sono anche i supporter: «Stiamo ammirando due tifoserie una più bella dell’altra». Su quello dei meno due piccole (o grandi) note stonate:«In primis i palazzetti troppo angusti. Poi gli arbitri, non sempre all’altezza: per le finali ci vogliono fischietti autorevoli, non le si può utilizzare per far fare esperienza ai giovani. Tante decisioni mi hanno lasciato perplesso».