«Il centrodestra ha lasciato una voragine nel suo elettorato del Nord. Ma Renzi non lo ha ancora conquistato».
È l’analisi del voto europeo del professor Luca Ricolfi, ordinario di psicometria a Torino e tra i più influenti studiosi in materia elettorale. Nonostante il boom registrato dal Pd nelle province pedemontane lombarde, storiche roccaforti del centrodestra, Ricolfi non abbraccia la tesi secondo cui il Pd avrebbe “sfondato” nell’elettorato tradizionale delle Pmi e degli autonomi.
Guardiamo ai flussi elettorali. L’Istituto Cattaneo prende a riferimento due province, Brescia e Padova, per molti versi simili a Varese. A Padova il travaso da Pdl e Lega verso il Pd è zero, a Brescia il 9,5% dei voti del Pd proviene dalla sola Lega. Si vede che in due realtà del Nord non lontanissime dal punto di vista sociale, le tendenze sono diverse.
Ci sono due tesi tra i commentatori. A “La Stampa”, ad esempio c’è un “gruppo Sorgi” (l’editorialista Marcello Sorgi, ndr), che sostiene la tesi secondo cui sarebbe “rinata la Dc”, visto che il Pd è andato a prendere voti nelle aree “bianche” del Nord, come la fascia pedemontana lombarda, e un “gruppo Gualmini” (la presidente dell’Istituto Cattaneo di Bologna, Elisabetta Gualmini, ndr), che sostiene la tesi per cui mi sento di propendere, che spiega il successo di Renzi con la distruzione di Scelta Civica e con la maggior fedeltà dell’elettorato del Pd, o forse con la maggior infedeltà degli altri elettori, in una tornata caratterizzata da forte astensionismo.
In termini assoluti non ci stiamo proprio. Gli undici milioni di voti del Pd di Renzi sono inferiori ai 12 milioni di Veltroni nel 2008. Ma anche il Pci di Berlinguer nel ’76 era riuscito a superare i 12 milioni, su un elettorato di 40 milioni, quindi pensando agli 11 milioni, su 50 milioni di elettori, del Pd di oggi, siamo ben lontani dallo sfondamento.
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