Renzo Villa, dalla tv alla malattia “Ho un tumore ma non ho paura”

VARESE «Se vi dico che bisogna volersi bene non confondetemi per un buonista». Perché quello che è stato il principale messaggio della sua vita, lanciato in diretta tv, la sua tv Antenna 3, assume maggiore rilevanza se si scopre di essere malati di tumore. E se c’è chi si nasconde per pudore, Renzo Villa, fondatore del canale di Legnano e celebre conduttore televisivo, non lo fa. Ci riceve nella sua casa di Varese, un enorme salone,

dove campeggiano sulle librerie i premi di una vita, dal Telegatto al disco d’oro, la Madonnina ed il Duomo. Lui pioniere di una televisione che c’entra poco con il voyeurismo di oggi, ma che sapeva parlare ai bambini e agli adulti, attirando la loro curiosità e coinvolgendoli in un mare di emozioni.
Parlava soprattutto ai bambini, immancabile al fianco il pupazzo Ciuffo, «perché si coinvolgono di più nei giochi e sanno se menti. Per i ragazzi abbiamo anche fatto Telebigino, con Roberto Vecchioni». Il professor Vecchioni faceva ripetizioni via tv e non volle mai essere pagato. «Oggi i bambini sono distratti dalla tv, ma non vengono aiutati a pensare come una volta». Un mondo che degenera quella della televisione di oggi, rispetto alla sua. Come le donne: «Entravano in tv perché sapevano ballare e recitare, oggi questo non serve più».

Ma non ci sono rimpianti nella sua vita, solo bei ricordi. Ed oggi l’ultima sfida, con il sorriso sulle labbra, affrontare la sua malattia. Ma non è solo: innanzitutto l’amore e la vicinanza della moglie Wally e della figlia Roberta. Ha un microcitoma, un tumore pericoloso, difficilmente curabile ma che può essere tenuto sotto controllo. Ha perso molti amici per tumore. Che tenevano la notizia per sé. Lui ne parla con coraggio. Il celebre conduttore di programmi come La Bustarella racconta della necessità «di dire sempre alle persone care che gli si vuole bene, prima che sia troppo tardi» e parla dell’ospedale di Varese, «dove la malasanità che si sente in giro non esiste, perché ai pazienti vengono date tutte le cure ed anche un caloroso rapporto umano». Un ringraziamento alle dottoresse Maria Luisa Ortelli, Marina Fioretti e Cinzia Gambarini. Alla caposala Betty ed a tutto il corpo delle infermiere. «Non mi trattano bene perché sono famoso – ci tiene a sottolineare Renzo – anche perché non sapevano chi sono. E dedicano il tempo necessario a tutti in base alle necessità di ognuno. Nessuna preferenza. Ma sempre un sorriso. Solo una mattina è capitato che una di loro non sorridesse. Mi hanno risposto che a volte anche loro sono tristi».

Un uomo fermo e retto. Renzo Villa ha detto di no tre volte nella vita, quando gli chiedevano di vendere la sua televisione. E non erano certo gli ultimi arrivati. «I primi sono stati quelli delle Edizioni Paoline – racconta Villa – negli anni ’70. Poi è arrivato Berlusconi, quando aveva Telemilano. Nessuno ci credeva che gli avessi detto di no, ma ha confermato anche lui. L’ultimo fu Craxi». Ma lui fermo. «Perché il denaro non è mai stata la mia ambizione, ho sempre coltivato il sogno di avere una tv per comunicare con le persone». Antenna 3 l’ha costruita insieme a Enzo Tortora. «Mi ha insegnato molto. Ma era molto critico. Mi disse bravo per la prima volta quando, dopo la morte di Papa Luciani, ebbi l’idea di organizzare una messa in diretta e parlai per un’ora e mezza. Mi disse che avevo capito come andare al cuore delle persone».

Restò sempre vicino a Tortora, e quando scoppiò il caso fece tre trasmissioni di fila per difenderlo. Tortora venne con lui anche a visitare il suo paese, Germignaga. «Lì fu il mio battesimo perché capii che avrei potuto fare il conduttore solo se fossi riuscito a non emozionarmi mentre parlavo del mio paese. È stato un banco di prova e devo chiedere scusa ai miei concittadini, perché li ho usati per questo mio esame».
Negli anni ’70 e ’80 Antenna 3 in Lombardia faceva più ascolti di Rai 2 e gli sponsor erano tanti, visto che la pubblicità costava meno che in Rai. Un aneddoto curioso. Villa, insieme ai registi ed a Roberto Benigni, che appariva i primi tempi sulla sua tv, fu condannato per atti osceni dal pretore di Busto Arsizio al pagamento di 50mila lire. La “colpa” era di Benigni e della gag dove mima di tirarsi giù la cerniera.
Marco Tavazzi

e.marletta

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