In base alla legge i migranti possono richiedere la residenza del Comune in cui sono ospitati. Alcuni lo hanno già fatto, attraverso le cooperative che gestiscono i centri di accoglienza. Il numero resta imprecisato, ma pare che le richieste procedano “a macchia di leopardo”, come affermato dal prefetto di Varese Giorgio Zanzi. Un meccanismo sostanzialmente automatico, al quale però non tutti i sindaci reagiscono nello stesso modo. Silvio Aimetti, Comerio, parla di «normale amministrazione, che non provoca alcuna conseguenza visto l’esiguo
numero di richiedenti asilo che ospitiamo». Ben più critico il collega di Uboldo, Lorenzo Guzzetti: «Nel momento in cui dovessi concedere la residenza ai 100 profughi attualmente presenti, questi ultimi diventerebbero titolari degli stessi diritti di un qualunque altro cittadino, il che metterebbe in crisi l’intera struttura comunale. È giusto che la gente lo sappia». Due visioni radicalmente diverse, che convergono, però, su un problema successivo. Quello dei migranti ai quali viene negato lo status di rifugiato: responso che, a livello nazionale, lo stesso prefetto definisce frequente. In tal caso, il soggetto perde il diritto alla permanenza in Italia e, nel contempo, al certificato di residenza eventualmente ottenuto. Resta però sua facoltà presentare ricorso e attendere sul territorio la sentenza. Già, ma a che titolo? E con quale rapporto con l’amministrazione locale? Qui i primi cittadini interpellati rispondono in maniera unanimemente sconsolata. Per l’ennesimo vuoto normativo i cui effetti rischiano di ricadere sulle spalle dei sindaci.