Riconosce la figlia. Ma non è la sua A processo un testimone del caso Uva

Stefano Pavanetto è adesso accusato di alterazione di stato civile

Mente riconoscendo una figlia non sua: a processo per alterazione di stato civile. E il tribunale chiede una perizia per accertare la sua capacità di stare in giudizio. Sul banco degli imputati davanti ai giudici del tribunale di Varese c’è uno dei testimoni di parte civile del processo sulla morte di Giuseppe Uva.

, 40 anni, di Varese, amico dell’artigiano di 43 anni per la cui morte sono a processo otto tra carabinieri e poliziotti, citato in aula da , che fu fermato con Uva in via Dandolo nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008 e con lui portato nella caserma carabinieri di via Saffi, potrebbe essere chiamato confermare davanti alla corte d’assise di Varese il presunto movente dell’aggressione a Uva da parte degli esponenti delle forze dell’ordine.

Lo stesso Bigioggero, infatti, ha affermato che della presunta relazione tra Uva e la moglie di uno dei carabinieri a processo era venuto a conoscenza attraverso Pavanetto.
Ora il possibile teste è a processo con per fatti relativi al 2003, quindi di cinque anni antecedenti la morte di Uva. A denunciarlo furono i genitori del quarantenne dopo aver avuto la certezza che il figlio aveva commesso un illecita. Stando a quanto sostenuto dall’accusa, ieri rappresentata in aula dal pubblico ministero, Pavanetto si accollò la paternità di una figlia che palesemente non era sua.
Brevemente il quarantenne si presentò con Galli, di 16 anni più vecchia di lui, alla famiglia dichiarando di essere il padre di una bimba che la donna, a quanto pare, aspettava prima di conoscerlo. Figlio unico Pavanello ha tra l’altro messo a rischio i beni di famiglia visto che quella figlia non sua avrebbe ereditato ogni cosa un giorno.

Le indagini hanno accertato che la bambina, poi tolta alla coppia e data in adozione, non era la primogenita del quarantenne che aveva dichiarato il falso, insieme a Galli, consapevole della menzogna.
Agli atti anche una lettera indirizzata a Pavanetto nella quale Galli lo ringraziava per essersi assunto la responsabilità di una paternità non sua. Il quarantenne non si era mai presentato in aula sino alla scorsa udienza. Visto l’atteggiamento in aula, e visti i trascorsi di Pavanetto che in più occasioni ha avuto necessità di essere ricoverato in strutture di recupero, il tribunale ha stabilito di eseguire una perizia sul quarantenne per accertarne la capacità di stare in giudizio o meno.
Quindi di comprendere quanto accade nell’aula.
Il 4 marzo il collegio affiderà l’incarico a un perito. Probabilmente sarà chiesta una perizia anche per Galli. Dall’esito dell’esame dipenderà il proseguo o meno del processo.
Il reato contestato tra l’altro è molto grave e prevede pene da cinque a 15 anni in caso di condanna. Da qui evidentemente lo scrupolo del tribunale nel decidere per una perizia.