Senza Cecco Vescovi, oggi, la Pallacanestro Varese sarebbe morta. Tutte le partite, tutte le delusioni, tutte le incazzature, tutti i sogni (quelli vissuti e quelli infranti) dell’anno degli Indimenticabili: non sarebbe successo nulla di nulla. Occorre ricordarlo e ribadirlo oggi, perché in troppi da queste parti hanno la memoria corta e non sanno cosa sia la gratitudine.
Verso Vescovi questa città ha un debito eterno: per quello che ha fatto sul campo da giocatore (lo scudetto del 1999 l’ha
vinto anche lui) e soprattutto per quello che ha fatto poi fuori. E finché noi avremo voce lo ribadiremo, lo scriveremo, lo grideremo. La storia tra Vescovi e la Pallacanestro Varese non doveva finire così: punto e basta.
E questo non significa che noi “stiamo dalla parte del Cecco”: perché l’ultima cosa di cui ha bisogno la Pallacanestro Varese (oggi davvero a un passo dal baratro, dalla retrocessione, dalla morte) è una divisione in fazioni.
Chi sta da una parte contro chi sta dall’altra. Perché le dichiarazioni di facciata sono una cosa, la realtà è un’altra: quelle dimissioni arrivate improvvise dopo che il giorno prima Coppa e lo stesso Vescovi avevano compattato l’ambiente “uniti fino alla fine” sono figlie di qualcosa.
Di qualcosa di grave e improvviso, evidentemente accaduto nella giornata di mercoledì, che è andato a distruggere un equilibrio che era precario ma che sembrava poter reggere almeno fino al termine della stagione.
Che Vescovi e Pozzecco non si sopportassero più, qui a Varese, lo sapevano pure i sassi: evidentemente, la corda si è spezzata. Non entriamo nel merito, non ci interessa sapere quel che è successo: chi ha ragione e chi ha torto, chi ha sbagliato e chi ha la coscienza pulita. Però siamo giornalisti, e il nostro dovere è quello di dire le cose come pensiamo che stiano, cercando di non prendere in giro nessuno.
Poi abbiamo, come tutti, un dovere morale: quello di guardare avanti anche se è difficile. Ed è al presidente Stefano Coppa che ci rivolgiamo: all’uomo che, gli piaccia o no, ha in mano il futuro di questa società. Auguri, non sarà facile. L’imperativo è quello di unire una squadra che oggi appare sfilacciata, demotivata, spaurita e molle: Kangur e Diawara sono gli unici ad aver capito dove si trovano e quel che gli sta succedendo attorno, e oltre a loro due è notte fonda. E con Kangur e Diawara non ci si salva. L’imperativo è quello di compattare un’area tecnica oggettivamente allo sbando: Pozzecco, maestro nel regalare entusiasmi e cavalcare le passioni, dovrà inventarsi capace di motivare il suo gruppo e toccare i tasti giusti per risvegliare chi si è addormentato. Attorno a lui, dal suo staff fino ad arrivare a un Giofrè ormai pubblicamente sfiduciato dalle parole di Coppa, facciamo fatica a trovare qualcuno che lo possa aiutare.
Presidente: si inventi qualcosa. Per salvare il futuro immediato e costruire quello che verrà (faccia una telefonata a Cappellari e una a Bruno Arrigoni), per salvare un’altra volta la Pallacanestro Varese. Si faccia aiutare, in tutto questo, dal suo istinto e dall’unica persona che può affiancarla in questa missione. Il suo nome è Renzo Cimberio.