In Italia non ce la facciamo proprio a guardare una tragedia con gli occhi e il cuore di chi la subisce ma dobbiamo per forza pensare prima a noi e poi a loro, mischiando il sangue di 129 francesi innocenti con le urla e gli insulti nei confronti di quel lupo che li ha uccisi (come se avesse ucciso noi e non loro) prim’ancora di pensare alle vittime, al paese delle stesse e a chi resta vivo con la paura di vivere,
che forse è peggio di morire. E così quasi tutti i politici di ogni schieramento hanno dovuto ad ogni costo dire la loro – su questo giornale vengono isolati i rari casi migliori in meno di una paginetta lasciando spazio ai varesini che l’orrore l’hanno vissuto da vicino – politici che ovviamente mentre parlavano stavano pensando prima ai cittadini-elettori italiani che a quelli francesi finiti sotto terra. E così, mentre in Italia scorre l’odio di chi ha sempre la verità in bocca e promette vendette nel nome d’altri, dall’altra parte delle Alpi scorre il sangue dei morti e dei feriti. Mentre noi andiamo in guerra, alziamo la voce e ci dividiamo anche sui morti degli altri (poi magari se capita a noi, stiamo zitti e a cuccia), loro si uniscono e perfino Marine Le Pen fa un figurone sospendendo a tempo indeterminato la battaglia elettorale per le regionali. Da noi parole come pietre, da loro parole leggere e che arrivano lontane come un vento, silenzi forti come abbracci, gesti teneri che fanno male ai terroristi e a chi li arma più di vuoti e indignati proclami.
Gesti come quello dell’uomo senza nome che ha trascinato con una bicicletta fino a rue Richard Lenoir, a dieci metri dal Bataclan dove sono state giustiziate una per una un’ottantina persone, il suo vecchio pianoforte dove c’era disegnato il simbolo della pace. Ha così iniziato a suonare “Imagine” di John Lennon mentre una folla commossa si avvicinava a lui, attonita e silenziosa. Avrebbero potuto prendere a mitragliate di kalashnikov ciascuna di quelle persone ma non sarebbero riusciti a stroncare quella musica, che continua ad arrivare anche oggi e per sempre nelle case del mondo portando sulle sue note parole come “nessun inferno sotto noi/sopra solo cielo/immagina non ci siano nazioni/non è difficile da fare/niente per cui uccidere e morire/immagina tutta la gente/che vive in pace/puoi dire che sono un sognatore/ma non sono il solo/spero che ti unirai a noi anche tu un giorno”. Cosa faranno ora gli assassini di Parigi per uccidere quella canzone suonata da un pianista sconosciuto nello stesso luogo dove erano state tolte molte vite tranne quella che non puoi uccidere, presente nelle parole e nella musica che sono arrivate a tutti noi come non era mai successo prima dell’altra sera?Come e quando potranno sterminare questa fotografia che sta facendo il giro di tutto il web francese (arrivasse anche qui, farebbe tacere un po’ anche noi), non perché sia speciale o migliore rispetto a quelle di tutti gli altri morti ammazzati ma perché, come quel piano che continua a suonare fuori dal Bataclan, è una foto-vento, una foto profonda come il mare e grande come il cielo dove le bombe si perdono nell’infinito e scompaiono, una foto che non ha bisogno neppure di essere accompagnata da una parola di John Lennon per compiere il suo e il nostro destino. Lei è Véronique ed è stata trapanata dai colpi scaricati da un’auto in rue de Charonne: l’ultima cosa che ci resta è il suo sorriso insieme ai bambini felici che la sua associazione aiutava in Madagascar. Il sapore della vita e l’energia luminosa che Véronique sprigiona adesso sono anche nostri e vostri: il sangue se ne andrà, ma queste cose restano. E fanno vincere le guerre.