Il Varese non passa, resta. Chi ha avuto la fortuna di tansitare di qui, chi da qui ha spiccato il volo verso qualcosa di più grande, chi è cresciuto per camminare da solo: gli anni passati in biancorosso non si dimenticano.
Prendete Beppe Sannino, per esempio: simbolo del miracolo varesino e condottiero di tre stagioni indimenticabili, oggi a Palermo richiamato dal presidente Zamparini per tentare la missione di una salvezza impossibile. Sentire le sue parole qualche ora dopo il derby contro il Catania dell’altro ex biancorosso Maran, per dare voce all’orgoglio dei varesini che hanno fatto il tifo per loro.
«È difficile – dice Sannino – perché i numeri sono lì da vedere e parlano chiaro, sono spietati. È difficile ma ci stiamo provando e lo stiamo facendo tutti insieme. A Varese avevo una frase che ripetevo spesso: è tutto scritto. Ed è questa frase, ancora oggi, che mi fa pensare positivo: finché c’è speranza, noi abbiamo il dovere di provarci».
Dovere. Sannino alza la voce su questa parola, quasi a voler sottolinearne l’importanza: «Dovere. Perché noi abbiamo un obbligo morale nei confronti di una città incredibile come Palermo: perché con la squadra ultima in classifica c’è sempre stato lo stadio strapieno. Perché dopo gli allenamenti i giocatori hanno sempre trovato la folla ad aspettarli per un autografo, una foto, una carezza. Loro, questi giocatori, forse non si rendevano conto della realtà che stavano vivendo: e allora ho deciso di fargliela vedere. Ho aperto le porte agli allenamenti e voi avreste dovuto vedere, giovedì scorso, quanta gente è venuta a sostenerci». Ora, l’hanno capito: «Sì, e questa è già una vittoria. Siamo come minatori che vogliono vedere la luce: è durissima, ma ci proveremo fino all’ultimo colpo di scalpello».
E poi è lui, è Sannino a chiedere subito: «E su a Varese come vanno le cose?». Un cambio di panchina, l’addio a Castori, giorni difficili: «Stimo Fabrizio Castori e gli auguro di ripartire alla grande con una nuova panchina: ma questo è il calcio, questo è il nostro lavoro. Ci siamo passati tutti. E allora a me non resta che salutare Agostinelli e fare il tifo per lui: a volte i cambi in panchina servono, perché danno la scossa e ricordano ai giocatori che devono limitarsi a fare i giocatori».
Parole di chi ha Varese nel cuore: «I tanti messaggi che mi sono arrivati domenica sera dopo il pareggio nel derby con il Catania, messaggi che arrivavano da Varese, mi hanno confermato che in quella città ho lasciato il cuore. Ma non avevo bisogno di conferme, lo sapevo già: a Varese ho tanti amici e tantissime persone che mi vogliono bene. Cose che resteranno finché sarò in vita. E allora, visto che io devo cercare di salvare il Palermo, mi fate un piacere? Salutatemeli tutti, uno a uno: quando la serie A sarà finita tornerò a fare un giro, e mi piacerebbe venire a vedere una partita della Cimberio. Che è tornata in cima all’Italia del basket».
b.melazzini
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