Sant’Arcangelo dei Teatri: un festival che sorprende, un esempio da seguire

Il suggeritore - la rubrica teatrale “costola” della rivista culturale OFF-stage Magazine, a cura di Roberta Colombo

Credo che per fare cultura e arte non si debba essere troppo orgogliosi, guardare solo all’orto di casa e alle storiche tradizioni consolidate. La propria città è un terreno fertile, da coltivare con creatività e sfruttando le risorse locali. Ma a volte è utile, sano ed artisticamente produttivo, guardare anche ad altre realtà fuori dalla nostra, ad altre città, ad altre regioni. Non è necessario andare oltreoceano. Siamo in estate e non c’è periodo migliore per prendere qualche appunto, qualche spunto. Le città italiane pullulano di festival e di spettacoli all’aperto. Mai come in questa stagione il teatro si avvicina alla gente, si fa conoscere di più, sembra scendere dal piedistallo su cui molti, sbagliando, lo pongono (perché ricordiamolo: il teatro è per tutti e di tutti, è nato dalla gente e per la gente, ha avuto origine da riti e feste religiose, dal dio Dioniso e dai suoi boschi …).

Un bell’ esempio in questo senso, che resiste nel tempo e ha cercato di mantenere negli anni la sua anima originaria, è il Festival dei Teatri di Sant’Arcangelo di Romagna, che ha appena terminato l’edizione di quest’anno, mantenendosi più vivo che mai con i suoi dieci giorni e dieci notti dal 7 al 16 luglio. Giornate all’insegna del teatro, della performance, della coreografia, dalle arti visive della musica e dei dibattiti. Nato originariamente con il nome di Festival del Teatro in Piazza nel 1971,

questo evento resta uno dei festival teatrali più importanti d’Italia. Il festival trova terra fertile grazie alle istanze politiche legate al 68’ e al fermento del folklore locale e, sin dai suoi inizi, vede importanti direttori artistici alternarsi alla sua guida. Il primo fu Piero Patino, il quale sosteneva che “Il teatro sgorga dalla collettività, per ritornare alla collettività”, una visione che ha sempre contrapposto il carattere sociale e politico del teatro al teatro che si fa pura merce di scambio. Fin da subito il festival punta a coinvolgere la collettività e sostiene nuovi fermenti e nuove proposte, spingendo nella direzione propedeutica ed educativa del teatro. In questi anni vengono presentati artisti come Dario Fo e Franca Rame, il Club Teatro, Giorgio Gaber, Giovanna Marini. Con le direzioni successive si fanno avanti posizioni artistiche che seguono il pensiero di Eugenio Barba e del Terzo Teatro, aprendo così le porte anche al teatro orientale. Successivamente il Festival vede l’appoggio anche dei professori del DAMS di Bologna e la conseguente volontà di rendere il festival un incontro tra generazioni, scelte che scatenano polemiche, come quella rivolta alla prima edizione di Antonio Attisani che aprì una zona di libero campeggio. Ma cosa rende questo festival così speciale? La location e il modo in cui viene gestito lo spazio è senza dubbio uno dei suoi punti di forza: arroccata su una collina a pochi passi dall’Adriatico e denominata “cittadella del teatro”, Sant’Arcangelo è diventata da allora un palcoscenico vero e proprio, un piccolo paese che, non essendo dotato di un teatro, si è fatto esso stesso teatro. Uno degli esempi più riusciti di necessità che si fa virtù. Il festival infatti si svolge in tutte le parti della cittadina, sulle piazze, nelle contrade, nell’antico sferisterio e nelle stradine antiche e ciottolate che percorrono tutte le sue salite e discese. Ogni angolo è arte, poesia. Sembra di essere catapultati in un’altra era e allo stesso tempo si respirano le espressioni artistiche più nuove. Evidente è l’importanza che esso continua a dare allo spazio, il tempo e al rito. Secondo punto di forza è la scelta dei contenuti, fondata su una riflessione continua del rapporto tra arte e città, arte e dimensione pubblica. Ed è proprio sul concetto di “spazio” che ha lavorato a lungo la direzione artistica di quest’anno, ponendosi queste domande: “Come abitare uno spazio? Come condividerlo? Che tipo di ospiti vogliamo essere? Da queste riflessioni – spiegano gli organizzatori – è nata l’idea di habitat, un invito per alcuni artisti ad utilizzare spazi per curare un programma dentro un programma, creando per il pubblico ambienti diversi da esprimere. Spazi aperti dove l’imprevisto può accadere, dove incontri inaspettati possono avvenire. Con questo approccio i curatori diventano “facilitatori” e il dialogo con gli artisti una conversazione che accoglie la sorpresa.”

Per i prossimi tre anni (questo compreso) la direttrice artistica è la trentaseienne bielorussa Eva Neklayaeva, che per questa edizione ha voluto che il focus fosse sul corpo e la sua espressività.n