Nel calcio non sempre va come si vorrebbe o si desidera, purtroppo s’incontrano delle variabili all’apparenza magari inspiegabili oppure s’imputano ad altri i mancati traguardi. La pulizia morale e l’onestà intellettuale fanno di Alessandro Scanziani un alieno del mondo pallonaro. Evita di puntare il dito contro qualcuno o in generale contro il sistema, guardando dentro di se. «Se non ho sfondato come allenatore vuol dire che non ne avevo l’autorevolezza, a me non piace dare colpe ad altri», dice l’ex mister di Gallaratese, Como, Lecco e Lumezzane per citarne alcune
Ma se avesse avuto un bravo procuratore sarebbe ancora su qualche panchina invece di fare il nonno di cinque nipoti femmine, abbandonando le speranze di mister nel 2010. «Non me la sento di sostenere una simile tesi anche se non ho una grande stima dei procuratori. Non ne ho mai avuto uno, nemmeno da giocatore, ed ho sempre pensato che nell’ambiente mi conoscevano e mi conoscono tuttora e se non è più arrivata nessuna chiamata vuol dire che i presidenti o i direttori sportivi non hanno ritenuto che avessi le qualità per allenare. E quindi, con l’andar del tempo, ho diradato le mie presenze durante le partite di terza serie, la categoria nella quale avevo allenato. A dire il vero non ho mai abbandonato l’idea di allenare: non sono stato più chiamato».
E dire che la carriera di trainer era cominciata alla grande con la promozione della Gallaratese in C2 nel 1995:«E lì forse sbagliai a non continuare andando invece al Como anche se arrivammo alla finale playoff in C1 perdendo con l’Empoli allenato da Spalletti. L’anno dopo mi esonerarono; la stagione successiva portai il Lumezzane dai playout a giocare i playoff ed il campionato dopo mi mandarono via. Eppure ero sempre lo stesso dell’anno prima, usavo gli stessi metodi di allenamento.
Probabilmente in certe scelte avrei dovuto essere più cauto e riflettere maggiormente. Però quando sei senza squadra e ti chiamano il desiderio è forte di tornare in campo. Mi chiamarono a Lecco per sostituire Donadoni che era stato esonerato per motivi extra-tecnici. Con sorpresa mi trovai contro i tifosi, gli ultras soprattutto, perché ero stato un giocatore del Como ed avevo anche allenato lì. Per loro non ero degno di stare sulla panchina del Lecco ed alla fine mi mandarono via».
Se la panca è stata scomoda, il prato ha regalato a Scanziani tante soddisfazioni: Inter, Ascoli e soprattutto Sampdoria della quale fu pure capitano. Era chiamato il “farmacista” per via dei suoi studi, «ma non ho mai pensato di aprire una farmacia o di rilevare l’attività da un parente ed è stato per questo che mio padre mi aveva spinto a studiare. Ma ci davo dentro con gli allenamenti perché a me piaceva fare il calciatore anche se è stata dura giocare e studiare e mi sono tolte delle soddisfazioni con l’Inter, ma soprattutto ad Ascoli con un allenatore che mi teneva in gran contro come Gian Battista Fabbri o alla Samp con il presidente Mantovani. Avevo la possibilità di giocare e stavo bene come persona, in sintonia con l’ambiente».
Un innamorato del pallone Alessandro Scanziani, «perché si possono costruire rapporti solidi e con gli ex miei compagni dell’Inter abbiamo fatto un gruppo su WhatsApp e ci troviamo a cena una volta al mese». Una squadra. E chi l’ha detto che si è mister allenando solo muscoli o preparando schemi? Si è anche allenatori con l’intelligenza e la passione nel saper costruire amicizie. Una panchina di valore e… per pochi.