VARESE Rischio di inquinamento, bagarre politica, utili e ambiente. Parla di tutto Antonio Nidoli, amministratore di Italinerti, la società che dall’85 è proprietaria della ex cava Coppa, nel bosco Trescali di Cantello, nella valle della Bevera. Finora la società aveva preferito mantenere il massimo riserbo «ma arrivati a questo punto mi vedo costretto ad intervenire per smentire le troppe inesattezze dichiarate anche in trasmissioni televisive e anche per rassicurare la popolazione sul rischio di inquinamento della falda acquifera, dato che noi per primi abbiamo preso tutte le precauzioni necessarie a scongiurare questo pericolo», afferma.
Partiamo dall’inizio. Il buco attualmente presente nella collina di Trescali è stato escavato abusivamente, giusto?
Sicuramente in parte sì. Nel senso che i vecchi proprietari all’inizio avevano delle autorizzazioni, poi a metà anni ’70 sono cambiate le regole, loro non si sono adeguati, o comunque non hanno trovato gli accordi necessari con il Comune di Cantello. Ma nonostante questo hanno continuato ad escavare, abusivamente stavolta, e beccandosi per questo decine di verbali.
Anche a carico della sua società, la Italinerti, sono stati staccati dei verbali?
Sì, ma uno solo, e l’abbiamo subito contestato. Non certo le 50 multe denunciate in tv dall’ex vigile di Cantello che hanno fatto tanto scalpore in tv. Era il 6 dicembre 1985, avevamo acquistato la cava da qualche mese in base alla legge regionale 18 del 1982 che inseriva la possibilità di recuperare le cave cessate, anche se non autorizzate, in modo da sanare le coltivazioni pregresse.
Cosa vi veniva contestato nel verbale?
Due cose. La prima era che l’impianto di lavorazione era in funzione, ma noi abbiamo dimostrato con regolari fatture che il materiale lavorato lì l’avevamo acquistato da altre cave. E d’altra parte anche i controlli dei tecnici della Provincia, quello di ottobre 1985, prima della multa, e quelli successivi, certificavano che non c’era escavazione incorso sul fronte cava che appariva invariato.
Non vi è stata rimproverata anche un’escavazione abusiva?
Sì, ma abbiamo contestato anche quella. Il vigile aveva trovato in azione sulla strada che porta al piazzale di cava un’escavatrice in funzione, ma stava lavorando per create un canale di scolo per l’acqua piovana laterale alla strada. La differenza di scopi rispetto allo sfruttamento di cava è sostanziale, ma l’attuale sindaco di Cantello ha affermato davanti alle telecamere che Italinerti ha fatto scavi abusivi. Non è vero, ho ancora tutti i documenti che lo provano. E dire che mio zio, Giulio Nidoli, allora titolare della società, aveva emanato un’ordinanza interna all’azienda proprio per evitare che il fronte cava fosse toccato per nessun motivo, visto quanto era tesa la situazione. Comunque un’ordinanza regionale dell’aprile del 1986 bloccò anche l’impianto di lavorazione. Da allora tutto è fermo.
Cosa prevede il vostro piano di recupero della cava?
La Regione ci ha autorizzato a escavare 1 milione e 550 mila metricubi, ma i nostri tecnici hanno proposto una soluzione ancora meno impattante che, alzando il fondo cava di 14 metri rispetto al fondo valle, che è 2 metri sopra la falda, permette di risparmiare 250 mila metricubi arrivando a un totale di circa 1,3 milioni di metri cubi da escavare per avere una collina non spianata ma alta uguale, solo con un pendio a gradoni invece di una parete verticale e pericolosissima alta 90 metri. Insomma noi saniamo un buco abusivo e restituiamo a Cantello una collina accessibile a tutti e più verde, grazie a ripiantumazioni e opere di compensazione ambientale per un valore di 1,9 milioni di euro.
Beh, intanto ci guadagnate anche. Quanto?
Certo, siamo un’azienda privata e cerchiamo un utile. Se poi questo arriva portando un miglioramento del territorio tanto meglio. Anche su questo ho sentito sparate fantasiose, tipo 90 milioni di franchi. Forse sarebbe più corretto togliere uno zero. Qualche milione di euro, ecco.
La critica principale mossa contro il recupero della cava resta quella del rischio di inquinamento delle falde della Bevera che forniscono acqua potabile a oltre mezza città…
Siamo i primi a preoccuparci di non creare danno all’ambiente e infatti alzare il fondo di cava a 14 metri dal fondo valle, e cioè a 16 metri dal livello massimo raggiunto dalla falda serve soprattutto a questo, a tutelare maggiormente le acque. La legge prevede solo 2 metri di altezza, noi ne proponiamo otto volte tanti.
Però rimane una relazione dei tecnici Aspem in cui si afferma che il rischio di inquinamento delle non può comunque essere escluso.
Troppo riduttivo e per questo non esatto. In zona ci sono due campi pozzi per l’acqua potabile. Il principale è nella Valle della Bevera, a monte della nostra cava e a un chilometro di distanza. Quindi la cava non può disturbarlo, l’acqua non scorre in salita. Il secondo, più piccolo, con tre pozzi, è in Val Sorda, dietro la nostra collina. Qui i tecnici Aspem non escludono il rischio vulnerabilità, e per questo, come tutela di sicurezza non si oppongono alla cava, prescrivono solo un pozzo piezometrico, una sorta di sentinella della falda che noi ci impegniamo a costruire. E poi che inquinamento può esserci? Un macchinario che perde olio o benzina ma in quali quantità, e che dovrebbe farsi decine di metri, filtrato dalla roccia prima di arrivare in falda. È un rischio infinitesimale, da fantascienza, ma gonfiato e pompato a dismisura.
Da chi?
Il problema è politico. Lasciamo da parte gli ambientalisti che non si rendono conto di come le cave, i motori dei bus o le caldaie del riscaldamento siano necessari al nostro livello di benessere, anche al loro. Il comune di Cantello, per primo, non si è voluto assumere la responsabilità di approvare un’escavazione nel suo territorio, e ha brandito la bandiera della difesa delle acque, che, come ho detto, con 16 metri minimo di altezza contro i due previsti dalle leggi,
mi sembrano ben tutelate dal progetto. Poi il comune di Varese che è sotto elezioni, e lo capisco, anche se alla fine in questo modo non si difende il territorio perché noi vinceremo il ricorso, e i cittadini pagano. Assurdo però è il voltafaccia della Provincia, dove due amministrazioni dello stesso colore e con lo stesso assessore all’ambiente, prima stendono il piano cave, poi ne propongono lo stralcio. Sono corsi dietro al Comune di Varese per non essere da meno, ma solo per immagine, rivedendo una decisione già ponderata con i tecnici. Non ha senso.
La nomina ad assessore di sua sorella Sarah non ha aiutato?
No. Lei ha fatto il suo lavoro, organizzando da zero le cerimonie per i 150 anni dell’Unità ‘Italia senza dire una sola parola sulla decisione del Comune di Varese di ricorrere al Tar, nonostante sia proprietaria di un dodicesimo della Italinerti. Ha svolto il suo compito pubblico senza lasciarsi condizionare dall’interesse privato.
Lidia Romeo
e.marletta
© riproduzione riservata