Sciatteria padana L’italietta e’ anche qui

Chiedete a uno straniero un giudizio sull’Italia e sugli italiani. Vi parlerà di bellezza, arte, cucina, paesaggi, simpatia, disponibilità, genialità, mammismo.

Eviterà di spiattellarvi quello che realmente pensa di noi.

Un giudizio, quello taciuto, probabilmente frutto di luoghi comuni e cattiva stampa (pizza, mandolino, inaffidabilità, propensione alle furbate), ma anche conseguenza di dati di fatto incontrovertibili (mafia, camorra, corruzione, livello della classe politica).

Quello che, soprattutto nel mondo degli affari, viene però imputato agli abitanti del Bel Paese è il pressapochismo. Difficile controbattere. Anche se tra il Brennero e Lampedusa non sono poche le eccezioni che confermano la regola, troppo spesso ci accontentiamo dell’apparenza, senza controllare che le cose siano fatte per bene fino in fondo.

Non è, attenzione, un atteggiamento, diciamo così, “mediterraneo”. Anche nella Padania a vocazione mitteleuropea, il germe della sciatteria produce danni devastanti.

Sopra e sotto Varese – giusto per fare due esempi – al Sacro Monte e all’Isolino Virginia ogni forestiero potrebbe tranquillamente corroborare la sua scarsa opinione sullo scrupolo con il quale curiamo le nostre cose. L’isolotto sul lago e il borgo sulla montagna non sono due posticini qualunque.

Sono protetti dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ci ha gratificato di un’attenzione che, come testimoniano le cronache pubblicate da “La Provincia di Varese”, pare mal ricambiata.

L’Isolino, dopo la scomparsa di Antonio Longo, che gestiva il punto di ristoro, sta andando in malora – ce lo ha documentato venerdì Valeria Deste – vittima di erbacce e incuria. Nelle cappelle della via Sacra – lo segnala ancora Valeria Deste oggi nelle pagine di cronaca – l’illuminazione interna non funziona o funziona male, riducendo così in modo drastico la possibilità di godere dei particolari che le pareti affrescate e le statue secentesche regalano ai visitatori meno distratti.

A chi tocca darsi da fare? Qui scatta il solito gioco dello scaricabarile, dove non si sa mai chi vince, ma si sa benissimo chi perde: tutti noi. La scusa che non ci sono soldi in questo caso non regge. Non occorrono capitali ingenti per mettere mano a questi tesori. Una squadra di giardinieri, un barcaiolo di buona volontà e un gestore che raccolga l’eredità di Longo non sembrano obiettivi irraggiungibili per l’isoletta che una volta si chiamava di San Biagio.

E qualche bravo elettricista basterebbe per ridare luce ai tempietti tenacemente voluti da padre Aguggiari. Meglio ancora se fosse guidato da un esperto scenografo, capace di indicare il posto giusto per i faretti. Proprio al Sacro Monte, in questo giorni, Andrea Chiodi propone una rassegna che chiama a raccolta alcuni dei più bei nomi del teatro italiano. Magari hanno qualche suggerimento da dare. Con tutti i soldi che stiamo spendendo per l’Expo, volete dire che non avanzerà qualche spicciolo per acquistare dei pannelli fotovoltaici che forniscano l’energia sufficiente a illuminare come si deve quei quattordici capolavori sulla Via Sacra? Così magari, l’estate prossima, organizziamo delle visite in notturna, accarezzati dal fresco della montagna, inseguendo le luci che si specchiano sulla rizzata.

I parcheggi servono, nessuno lo nega. Ma prima ancora occorre tenere in ordine quello che i turisti automuniti si apprestano a visitare.

Anche perché l’Expo porterà, ci hanno detto, vagonate di viaggiatori, soprattutto dall’estero.

Potrebbe essere una grande occasione per far loro cambiare idea sull’Italia pressappochista. O almeno su Varese.

Marco Dal fior

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