«Ho avuto la fortuna di vivere il mio ministero in un momento in cui, al di là delle contraddizioni, dei conflitti e dei problemi che ancora attanagliano la nostra metropoli, ho potuto vedere non pochi elementi di risveglio. Nello stesso tempo però avverto l’urgenza di dire con franchezza che questo non basta».
Lo ha detto oggi, in Duomo, il cardinale Angelo Scola nell’omelia con cui si è congedato dalla Diocesi di Milano, al termine dei suoi sei anni di episcopato sulla cattedra di Sant’Ambrogio.
Parlando della sua lunga esperienza di vescovo alla guida prima della diocesi di Grosseto, poi di Venezia ed infine di Milano, il Cardinale ha sottolineato: «In questi ventisei anni e più di episcopato, ho visto brillare la speranza, suscitata dall’incontro con Cristo, nelle più disparate condizioni di vita». Riferendosi a Milano ha poi voluto indicare i tanti segnali di rinascita: «la sua grande capacità di accoglienza, al di là di comprensibili sacche di paura», «il gusto del paragone e del confronto tra quanti praticano diverse visioni del mondo». «Fenomeni questi – ha sottolineato Scola – tanto più imponenti se si considera il processo di mescolamento in atto, in modo massiccio, anche sul nostro territorio».
Tuttavia il Cardinale è tornato a mettere in evidenza anche la strada che la città deve ancora compiere.
«Qualche anno fa, in un Discorso di sant’Ambrogio, – ha ricordato il Cardinale – dissi che a Milano mancava l’anima. Alcuni contestarono questa mia affermazione. In parte avevano ragione, altrimenti questa crescita della metropoli non si spiegherebbe. Tuttavia c’è ancora un cammino da compiere. “Non dimenticarti di Dio” avevo raccomandato alla nostra città all’inizio del mio ministero in mezzo a voi, perché «Dio è con noi» (Vangelo, Mt 1,23). Questa memoria – in sei anni l’ho potuto toccare con mano – è ancora viva in molti tra le generazioni adulte dei vecchi e nuovi milanesi. Ma non sempre sappiamo vedere l’enorme potenziale di speranza e di costruzione di vita buona, cioè bella vera e giusta, che tale memoria contiene. Di conseguenza spesso non riusciamo a farlo scoprire ai giovani».
«Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come un vessillo di guerra? Io sono la madre del bell’amore e del timore» (Prima lettura). Festeggiamo questa sera la nascita di Maria Santissima. Le immagini con cui è descritta dalla Prima Lettura (cf Ct 6,10-Sir 24,18) dicono la profondità del bell’amore cui ciascuna donna e ciascun uomo anelano. Maria nascente infatti anticipa il sublime incontro d’amore con il Figlio: Vergine madre figlia del Tuo Figlio.
La nascita della Vergine ha occupato la mia immaginazione infantile. I miei genitori conservavano accuratamente una piccola teca con la tradizionale immagine di Maria in fasce. (Le suore di Maria Bambina ne custodiscono l’originale miracoloso, qui a Milano, nel Santuario a Lei dedicato). Spesso mi sorprendevo a guardare quel volto bianco di cera e, in particolare, mi incuriosiva il rivestimento che la copriva dal collo ai piedi. La teca è passata poi dalla camera dei miei genitori alla mia camera.
Forse per questo, quando cerco di riflettere sul “bell’amore”, la mia mente ed il mio cuore tornano lì. La figura di Maria nascente, che oggi festeggiamo come patrona del nostro Duomo, ci interroga – ne sono sempre più convinto – sull’esperienza universale dell’amore. Dove stanno la bellezza e la gioia dell’amore se non nella sorprendente gratuità che consente all’amato di imparare ad amare sempre più? E cosa ci spalanca all’amore più della tenerezza destata da un neonato che si affaccia alla vita?
2. Sono molto contento di poter dire il mio grazie all’interno di questa preziosa liturgia. Essa è, per tradizione, assai importante per la vita pastorale della nostra Diocesi.
Dico grazie alla Chiesa ambrosiana, che mi ha generato alla fede e di cui, per volontà di Dio, sono diventato pastore. Non sto ad elencare persone e istituzioni a cui la mia riconoscenza si rivolge questa sera. Non posso fare a meno, tuttavia, di citare il buon Dio, il Suo amato Figlio, che sulla croce ci ha donato lo Spirito, la Vergine Santissima, i miei predecessori sulla cattedra di Anatalo, di Ambrogio e di Carlo. E come dimenticare i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, gli sposi, i bambini, i giovani, gli anziani, gli ammalati, i poveri e gli esclusi… in una parola tutti quanti, in vario modo, diretto o indiretto, hanno risposto all’invito che vi rivolsi, sei anni fa, il 25 settembre 2011, durante la Messa di inizio del mio ministero: “Ho bisogno di voi”?
3. La parola grazie in se stessa potrebbe bastare. Consentitemi però di nutrirla con due contenuti. Uno riferito alla Santa Chiesa di Dio che vive in Milano e nelle terre ambrosiane, l’altro riferito a Milano Metropoli che si dilata forse oltre i confini della nostra stessa Diocesi.
La Chiesa milanese, al di là di tutte le rilevazioni statistiche, è ancora, nelle sue radici, una Chiesa di popolo. Questa mia convinzione ha preso forma con crescente lucidità, soprattutto a partire dalle assemblee ecclesiali della Visita pastorale feriale. Certo non è più un albero rigoglioso di foglie e di frutti, e tuttavia le sue radici sono ben vive. E finché le radici sono vitali, l’albero può tornare florido. Se la Chiesa di Milano è una Chiesa di popolo, allora in essa qualunque uomo e qualunque donna, in ogni momento e condizione, può trovare la sua casa definitiva. Tutti gli uomini e le donne che vivono sul territorio ambrosiano, possono fare l’esperienza del bell’amore incontrando, nella testimonianza diretta e personale di singoli fedeli e di comunità, il volto di Gesù che la fede ci fa cercare con tutte le nostre forze come compimento del nostro destino. Lo Spirito di Dio che abita in noi ci fa tendere alla vita e alla pace (cfr Epistola, Rm 8,6). Questo apre per noi fedeli ambrosiani una grande speranza.
In questi ventisei anni e più di episcopato, ho visto brillare la speranza, suscitata dall’incontro con Cristo, nelle più disparate condizioni di vita: nella gioia di un papà e di una mamma di fronte ad un bimbo che nasce, nell’innocenza – fatta di meraviglia e di serietà – dei bambini, nella ricerca inquieta degli adolescenti, nell’esperienza dell’amore dei giovani sposi, nella forza generativa – di procreazione e di educazione – dei genitori, nel gusto costruttivo degli uomini e delle donne del lavoro… ma ne ho visto persistere la luce anche nella dura prova dei disoccupati, nella miseria e nell’emarginazione di troppi, nella consapevole accettazione degli anziani, nell’offerta dei malati e dei morenti, nello zelo dei sacerdoti e nella dedizione dei consacrati.
Per tutto questo rendo grazie.
4. Il secondo contenuto con cui voglio tessere il mio grazie riguarda Milano. Ho avuto la fortuna di vivere il mio ministero in un momento in cui, al di là delle contraddizioni, dei conflitti e dei problemi che ancora attanagliano la nostra metropoli, ho potuto vedere non pochi elementi di risveglio. Non posso enumerarli in dettaglio, ma mi è impossibile tacere della Milano che mantiene la sua grande capacità di accoglienza, al di là di comprensibili sacche di paura si apre sempre più a chi è vittima delle diverse forme di esclusione, ha sviluppato il gusto del paragone e del confronto tra quanti praticano diverse visioni del mondo. Fenomeni questi tanto più imponenti se si considera il processo di mescolamento in atto, in modo massiccio, anche sul nostro territorio.
Nello stesso tempo però avverto l’urgenza di dire con franchezza che questo non basta. Qualche anno fa, in un Discorso di sant’Ambrogio, dissi che a Milano mancava l’anima. Alcuni contestarono questa mia affermazione. In parte avevano ragione, altrimenti questa crescita della metropoli non si spiegherebbe. Tuttavia c’è ancora un cammino da compiere.
“Non dimenticarti di Dio” avevo raccomandato alla nostra città all’inizio del mio ministero in mezzo a voi, perché «Dio è con noi» (Vangelo, Mt 1,23). Questa memoria – in sei anni l’ho potuto toccare con mano – è ancora viva in molti tra le generazioni adulte dei vecchi e nuovi milanesi. Ma non sempre sappiamo vedere l’enorme potenziale di speranza e di costruzione di vita buona, cioè bella vera e giusta, che tale memoria contiene. Di conseguenza spesso non riusciamo a farlo scoprire ai giovani.
L’anima è ciò che dà vita. È la sostanza di ogni realtà e la conduce alla pienezza di senso, facendola fiorire.
Salendo da Oggiono ad Imberido, ad estate incipiente, ci si imbatte in un grande giardino colmo di ceppi di ortensie di svariati ed intensi colori. È impossibile evitare tutte le volte un “Oh!” di meraviglia. Amandolo e coltivandolo, qualcuno ha dato vita a quel giardino. Gli ha dato un’anima.
Carissime, carissimi, amiamo Milano e la sua Chiesa.
5. «Avvicinatevi a me voi che mi desiderate e saziatevi con i miei frutti» (Lettura, Sir 24,18-20). A questa sapienza mariana vorrei avvicinarmi un po’ di più negli anni che mi restano. Per questo, mentre mi scuso con tutti per mancanze ed errori commessi, vi chiedo, un’altra volta, di sostenermi nella preghiera e nell’affetto. A tutti un caloroso abbraccio e la mia benedizione. Amen.