E’ morto , un simbolo tra i giusti della provincia di Varese, insignito l’anno scorso, all’età di 92 anni, con la Medaglia D’onore.
In quel 2 giugno accaldato fu il figlio, il cui impegno per la promozione di attività sportive in particolare mirate a coinvolgere bambini e giovani con disabilità in tutto il territorio provinciale e oltre i suoi confini non ha bisogno di presentazioni, ad accompagnarlo nell’immensa aula magna dell’Università dell’Insubria. Oggi è il figlio Silvio a mormorare: «Se ne è andato anche il nonno. Ciao Papà», ritagliandosi giustamente uno spazio privato per il lutto che lo ha colpito.
Di nonno Angelo tutti ricordano il carattere deciso ma incline alla dolcezza. In quella sua apparizione pubblica diede a tutti una lezione di umiltà mormorando davanti al prefetto che lo insigniva della benemerenza: «Grazie, grazie a tutti», mentre con il fazzoletto che il figlio gli porgeva asciugava con discrezione le lacrime di commozione che gli rigavano le guance. Arrestato dai tedeschi a Merano nel 1943 ed internato nei campi di concentramento Angelo Pezzotta fu costretto a patire le angherie e le terribili condizioni del lavoro forzato. La tragica esperienza della vita sotto i bombardamenti: Angelo non ha mai smesso di portare nel corpo le cicatrici di quel ferimento. Nato nel 1924, residente a Somma Lombardo, fu Alpino nel secondo conflitto mondiale, fino a quella cattura che lo condusse nel campo di Braushweig, destinato al lavoro coatto presso le industrie aeronautiche Messerchmitt.
Fu liberato nel 1945, prima ferito nei bombardamenti, e tornò in Italia. Seppe rialzarsi da un’esperienza che lo provò fortemente e continuare ad agire nel giusto, anche nella quotidianità. Un uomo d’altri tempi, si direbbe. Un uomo semplicemente fedele ai propri ideali per tutta la vita.
Per capire il valore di Angelo Pezzotta basta leggere le motivazioni della Medaglia d’Onore: «Un riconoscimento del valore di chi per la libertà ha combattuto davvero, di chi sacrificò la propria giovinezza per portare la nazione a quell’appuntamento elettorale che ne determinò la forma istituzionale e ne certificò la rinascita». Raccontare quanto quest’uomo ha fatto durante la sua lunga vita non vuole soltanto essere un omaggio, ma un tentativo di ispirare le nuove generazioni. Al figlio Silvio vanno le condoglianze del direttore Francesco Caielli, della redazione e di tutti i giornalisti del nostro quotidiano.