«Entro sessanta giorni, online tutte le spese delle amministrazioni locali».
Meno 60 all’ora “X” dei Comuni, ma i nostri come sono messi? Chi più, chi meno, gran parte dei dati e degli atti sono già pubblici, sui siti internet degli enti locali. Ma che gran confusione.
È uno degli ultimi annunci del premier, nella conferenza stampa del Venerdì Santo in cui ha svelato i contenuti delle misure approvate in Consiglio dei ministri: «Tutte le spese, voce per voce, della pubblica amministrazione, dovranno essere pubblicate online su un sito ad hoc della spending review. Pena il taglio dei trasferimenti dallo Stato».
La trasparenza totale della pubblica amministrazione è un cavallo di battaglia degli ultimi Governi, già dai tempi del ministro , che inaugurò il “filone” con la pubblicazione dei tassi di assenza e di presenza del personale degli enti, con l’obiettivo di “stanare” i fannulloni.
Poi arrivarono i compensi dei dirigenti e degli amministratori delle società partecipate, tutti resi pubblici dal primo all’ultimo centesimo.
Già oggi per legge compensi e redditi degli amministratori e dei dirigenti, delibere di giunta, consulenze, bandi, opere pubbliche, affitti versati e percepiti, rilievi della Corte dei Conti, sussidi e contributi, e chi più ne ha più ne metta: tutto è rintracciabile sulla sezione “Amministrazione trasparente” che ogni Comune, Regione e Provincia è obbligato ad avere in bella mostra sulla “home page” del proprio sito internet istituzionale.
Certo, non tutti i dati sono sempre disponibili: la “pagina in allestimento” è un escamotage sempre in agguato. Ma in pochi, ad un anno dall’ultima legge sulla trasparenza introdotta dal governo Monti, ne fanno ricorso.
A Busto Arsizio manca l’indicatore di tempestività dei pagamenti, a Gallarate i provvedimenti dei dirigenti e le opere pubbliche sono “off limits”, a Varese non sono reperibili il monitoraggio dei tempi dei procedimenti e i premi del personale. In compenso si possono conoscere i patrimoni personali di tutti gli amministratori e si possono consultare tutte le deliberazioni e i dettagli dei piani urbanistici, che in altre epoche spesso rappresentavano l’emblema dell’opacità degli enti pubblici. Insomma, oggi l’“opendata”, letteralmente “dati aperti” e disponibili a tutti, è già in gran parte realtà.
Ma non è che tutto online finisce per essere uguale a niente? Con il risultato di una gran “marmellata” in cui non si capisce da che parte iniziare a leggere? L’esempio sono i sussidi e le sovvenzioni.
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