Si cerca il coltello che uccise Lidia. Nuove indagini al Sass Pinì

In previsione anche una nuova perizia grafica sulla lettera “In morte di un’amica”

Omicidio Macchi: nuova perizia grafica sulla lettera “In morte di un’amica”, nuovi interrogatori, proroga delle indagini di sei mesi in attesa dei risultati sugli esami genetici in corso. A breve si scaverà al Sass Pinì, come chiesto dall’avvocato della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, per cercare anche lì, come accaduto al parco Mantegazza di Masnago, il coltello con cui la giovane scout fu uccisa 27 anni fa.

Gli inquirenti hanno già preso contatti con l’esercito che presidierà la zona (l’area in cui fu ritrovato il corpo è stata identificata attraverso triangolazioni) e eseguirà gli scavi sotto la direzione di un geologo forense.

L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda, e condotta sul campo da agenti scelti della squadra mobile di Varese e di Milano, procede in tempi rapidi e ben scanditi.

Gli inquirenti hanno ascoltato Roberto Bechis, sino a poche settimane fa in Cina quindi irraggiungibile, non appena rientrato in Italia. Bechis fu uno dei tre amici di Lidia Macchi a ritrovare il corpo straziato e senza vita della giovane studentessa varesina uccisa, a soli 20 anni, il 5 gennaio del 1987. Il cadavere fu trovato al limitare dei boschi del Sass Pinì a Cittiglio il 7 gennaio.

La scomparsa della ragazza, militante di Cl, brillante e molto stimata, aveva spinto i tanti amici a scendere in campo dopo la denuncia di scomparsa presentata dai familiari per cercare la giovane. Lidia fu trovata coperta da un cartone: il corpo straziato da 29 coltellate.

L’autopsia dirà che la giovane è morta dissanguata e soffocata dal sangue che le ha riempito i polmoni: nessun colpo fu letale. Fu lasciata morire; una morte che sopraggiunse in una ventina di minuti, secondo il referto del medico legale.

A puntare il dito contro Bechis fu, sia all’epoca dell’omicidio che nel febbraio scorso in sede di incidente probatorio, don Giuseppe Sotgiu, amico di Lidia, ma soprattutto amico inseparabile di Stefano Binda, 49 anni, arrestato lo scorso 15 gennaio con l’accusa di aver assassinato la giovane. Al centro della vicenda una lettera, l’ormai tristemente celebre “In morte di un’amica”, missiva anonima arrivata a casa dei Macchi il 10 gennaio 1987, giorno dei funerali di Lidia.

Da subito sia i genitori della ragazza che gli inquirenti sospettarono che l’autore di quella missiva fosse l’assassino o comunque sapesse qualcosa di preciso in relazione all’omicidio. 27 anni dopo il fatto Patrizia Bianchi, amica di Lidia e innamorata di Binda all’epoca del fatto, ha riconosciuto come appartenente a Binda la grafia con cui la lettera è stata scritta vedendo la missiva in una puntata di Quarto Grado. Sotgiu, invece, ha dichiarato di aver sempre pensato che quella lettera l’avesse scritta Bechis perché “quello era il suo stile”.

Bechis, dunque, è stato ascoltato e sottoposto a perizia grafologica che ha dato esito negativo. Non fu lui a scrivere la lettera secondo i periti; tuttavia gli inquirenti hanno eseguito un prelievo della saliva di Bechis per comparare il Dna dell’uomo on eventuali tracce genetiche che potrebbero emergere dall’analisi delle spoglie di Lidia riesumate alcuni mesi fa.

Lo stesso Dna potrebbe venire comparato con quello estratto dal francobollo affrancato alla missiva ad oggi rimasto di ignoti, per verificare se Bechis, possa in qualche modo avere delle informazioni su chi abbia scritto la missiva. Non solo. Si cercherà al Sass Pinì l’arma del delitto: si scaverà dunque anche a Cittiglio. Intanto Binda lo scorso 13 settembre è stato interrogato ancora una volta dal pg Manfredda: e ancora una volta l’uomo, che si è sempre dichiarato innocente, si è avvalso della facoltà di non rispondere.